Una «secca rivoluzione anestetizzante» si è svolta silenziosamente sotto i nostri occhi noi lavoratori amaramente siamo gli attori protagonisti: la “mediocrazia” ci ha rovinati. I peggiori sono entrati nella stanza dei bottoni e ci spingono ad essere come loro, un po’ come gli alieni del film di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi”. Ricordate tutti?
“Mediocrazia” parola che sta distruggendo il lavoro nella nostra società.
Potremmo esemplificare questa mediocrità parlando dei mali della politica, parlando di democrazia, governo, “governabilità”, libertà, uguaglianza, integrazione, ecc. di diritti e dignità. Si prenda “democrazia,” ma soprattutto si faccia qualcosa per il lavoro, affermano disperatamente i lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA>. Ora per coloro che stanno sopra e hanno vinto una competizione elettorale, significa fare autorizzazione a fare quello che vogliono; per coloro che stanno sotto e sono stati vinti, significa pretesa di totale rispetto e di riconoscimento: fare e non fare; prepotenza e resistenza. Oppure “politica” forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come quando la si usa in espressioni come “politica di espansione”, “politica coloniale”, “politica razziale”, “politica demografica”; oppure, in questo caso “politica per lo sviluppo del lavoro” ecco che scatta quella sacrosanta esperienza di convivenza, coinvolgimento e inclusione sociale. Oppure ancora: la (ricerca della) “sopravvivenza”.
Oggi, siamo noi il popolo dei lavoratori che rivendica i propri diritti come diritto, oggi pratichiamo la giustizia esibendo uno stile di vita, quasi sempre povero e disperato. Oggi sentiamo un disoccupato, un lavoratore schiacciato dai debiti, un genitore abbandonato a se stesso con un figlio disabile, un migrante senza dimora, un individuo oppresso dai debiti e strangolato dagli strozzini, uno sfrattato che non ha pietra su cui posare il capo, una madre che vede il suo bambino senza nome morire di fame, giovani lasciare il proprio posto, senza che nessuno faccia qualcosa. Oggi sentiamo rivendicare un loro diritto alla “giustizia”. Sarebbe grottesco. Sentiremo questo eterogeneo popolo dei lavoratori degli esclusi e dei sofferenti chiedere non felicità ma verità.
Ma, anche la parola giustizia sfugge in maniera licenziosa alla legge dell’ambiguità. Giustizia rispetto a che cosa? Ai bisogni minimi vitali, come chiederebbero i lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA> bisogni che si legano alla sopravvivenza umana, ed ai meriti, come sostengono i vincenti nella partita della vita? La giustizia degli uni è ingiustizia per gli altri. Si comprende, allora, una triste verità tanto banale quanto ignorata, nei discorsi politici e dei politici: se si trascura il punto di vista dal quale si guardano i seri problemi di cui ci occupiamo e si parla genericamente di libertà, diritti, dignità, sostegno economico, uguaglianza, giustizia, ecc., si pronunciano parole vuote, senza significato che producono false coscienze, finendo per abbellire le pretese dei più forti e vanificano il significato che avrebbero sulla bocca dei più deboli.
Onde, la conclusione potrebbe essere questa: queste belle parole non si prestano a diventare stendardi che mobilitano le coscienze in un moto e in una lotta comune contro i mali della società, per la semplice ragione che ciò che è male per gli uni è bene per gli altri. La vera questione è la sopravvivenza. Tanto più le distanze diminuissero, tanto più l’ambiguità delle parole che usiamo diminuirebbe. Ma, è chiaro, qui il discorso deve finire, perché si deve completamente uscire all’aperto, dove non bastano le parole ma occorrono i sacrosanti fatti concreti.
Certo, la vita, ma soprattutto le nostre difficoltà sono effimere, ma non del tutto. C’è un residuo, il “quasi”, che resta, che si accumula e che forma ciò che chiamiamo umanità, un termine che può tradursi in cultura: il deposito delle esperienze che vengono da lontano e preparano il futuro, un deposito al quale tutti noi, in misura più o meno grande, partecipiamo. O, meglio: dobbiamo poter partecipare attivamente. Altrimenti, siamo fuori dalla totale umanità. Per questo, troviamo qui il primo, il primordiale diritto, che condiziona tutti gli altri, noi lavoratori ora lo gridiamo ad alta voce: “Sostegno economico, retroattività della mobilità in deroga, corsi di formazione retribuiti, rilancio occupazionale tramite il P.A.C.( che ha sostituito i vari Accordi di Programma ) sono i diritti che noi pretendiamo”.
Noi ex lavoratori siamo da due 2 anni senza sostegno al reddito attendavamo speranzosi un ravvedimento delle istituzioni che purtroppo continuano a favorire i già i scandalosi decreti sostenendoli con la mobilità in deroga sino a tutto il 2016.
Mentre per i tanti colleghi di lavoro non c’è più nulla, siamo ancora discriminati come bestie sino alla fine.
Nulla è servito, una interrogazione parlamentare e regionale.
L’Assessorato rimane sordo ed insignificante alle pressioni dei lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA>.
Martedì si prevede l’Unitario delle tre sigle sindacali infuocato. La violazione di questo diritto equivale all’annientamento del valore della persona, con riduzione verso lo zero assoluto.
Oggi noi lavoratori siamo l’esempio di vita, vogliamo comportamenti che siano giusti per tutti quanti noi.
Attraverso i comportamenti che noi affermiamo con evidenza l’appartenenza ad un contesto che lascia ai più forti un grande potere decisionale. Alla fine dei conti, si tratta sempre di atteggiamenti che tendono a generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando gli individui che la praticano sempre non si accorgono più di esserlo. Per questo che nascono i maledetti “ mali della politica”. Ed è per questo che noi lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA> siamo pronti a combattere.
“Mediocrazia” parola che sta distruggendo il lavoro nella nostra società.
Potremmo esemplificare questa mediocrità parlando dei mali della politica, parlando di democrazia, governo, “governabilità”, libertà, uguaglianza, integrazione, ecc. di diritti e dignità. Si prenda “democrazia,” ma soprattutto si faccia qualcosa per il lavoro, affermano disperatamente i lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA>. Ora per coloro che stanno sopra e hanno vinto una competizione elettorale, significa fare autorizzazione a fare quello che vogliono; per coloro che stanno sotto e sono stati vinti, significa pretesa di totale rispetto e di riconoscimento: fare e non fare; prepotenza e resistenza. Oppure “politica” forza sopraffattrice dal punto di vista dei forti, come quando la si usa in espressioni come “politica di espansione”, “politica coloniale”, “politica razziale”, “politica demografica”; oppure, in questo caso “politica per lo sviluppo del lavoro” ecco che scatta quella sacrosanta esperienza di convivenza, coinvolgimento e inclusione sociale. Oppure ancora: la (ricerca della) “sopravvivenza”.
Oggi, siamo noi il popolo dei lavoratori che rivendica i propri diritti come diritto, oggi pratichiamo la giustizia esibendo uno stile di vita, quasi sempre povero e disperato. Oggi sentiamo un disoccupato, un lavoratore schiacciato dai debiti, un genitore abbandonato a se stesso con un figlio disabile, un migrante senza dimora, un individuo oppresso dai debiti e strangolato dagli strozzini, uno sfrattato che non ha pietra su cui posare il capo, una madre che vede il suo bambino senza nome morire di fame, giovani lasciare il proprio posto, senza che nessuno faccia qualcosa. Oggi sentiamo rivendicare un loro diritto alla “giustizia”. Sarebbe grottesco. Sentiremo questo eterogeneo popolo dei lavoratori degli esclusi e dei sofferenti chiedere non felicità ma verità.
Ma, anche la parola giustizia sfugge in maniera licenziosa alla legge dell’ambiguità. Giustizia rispetto a che cosa? Ai bisogni minimi vitali, come chiederebbero i lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA> bisogni che si legano alla sopravvivenza umana, ed ai meriti, come sostengono i vincenti nella partita della vita? La giustizia degli uni è ingiustizia per gli altri. Si comprende, allora, una triste verità tanto banale quanto ignorata, nei discorsi politici e dei politici: se si trascura il punto di vista dal quale si guardano i seri problemi di cui ci occupiamo e si parla genericamente di libertà, diritti, dignità, sostegno economico, uguaglianza, giustizia, ecc., si pronunciano parole vuote, senza significato che producono false coscienze, finendo per abbellire le pretese dei più forti e vanificano il significato che avrebbero sulla bocca dei più deboli.
Onde, la conclusione potrebbe essere questa: queste belle parole non si prestano a diventare stendardi che mobilitano le coscienze in un moto e in una lotta comune contro i mali della società, per la semplice ragione che ciò che è male per gli uni è bene per gli altri. La vera questione è la sopravvivenza. Tanto più le distanze diminuissero, tanto più l’ambiguità delle parole che usiamo diminuirebbe. Ma, è chiaro, qui il discorso deve finire, perché si deve completamente uscire all’aperto, dove non bastano le parole ma occorrono i sacrosanti fatti concreti.
Certo, la vita, ma soprattutto le nostre difficoltà sono effimere, ma non del tutto. C’è un residuo, il “quasi”, che resta, che si accumula e che forma ciò che chiamiamo umanità, un termine che può tradursi in cultura: il deposito delle esperienze che vengono da lontano e preparano il futuro, un deposito al quale tutti noi, in misura più o meno grande, partecipiamo. O, meglio: dobbiamo poter partecipare attivamente. Altrimenti, siamo fuori dalla totale umanità. Per questo, troviamo qui il primo, il primordiale diritto, che condiziona tutti gli altri, noi lavoratori ora lo gridiamo ad alta voce: “Sostegno economico, retroattività della mobilità in deroga, corsi di formazione retribuiti, rilancio occupazionale tramite il P.A.C.( che ha sostituito i vari Accordi di Programma ) sono i diritti che noi pretendiamo”.
Noi ex lavoratori siamo da due 2 anni senza sostegno al reddito attendavamo speranzosi un ravvedimento delle istituzioni che purtroppo continuano a favorire i già i scandalosi decreti sostenendoli con la mobilità in deroga sino a tutto il 2016.
Mentre per i tanti colleghi di lavoro non c’è più nulla, siamo ancora discriminati come bestie sino alla fine.
Nulla è servito, una interrogazione parlamentare e regionale.
L’Assessorato rimane sordo ed insignificante alle pressioni dei lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA>.
Martedì si prevede l’Unitario delle tre sigle sindacali infuocato. La violazione di questo diritto equivale all’annientamento del valore della persona, con riduzione verso lo zero assoluto.
Oggi noi lavoratori siamo l’esempio di vita, vogliamo comportamenti che siano giusti per tutti quanti noi.
Attraverso i comportamenti che noi affermiamo con evidenza l’appartenenza ad un contesto che lascia ai più forti un grande potere decisionale. Alla fine dei conti, si tratta sempre di atteggiamenti che tendono a generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando gli individui che la praticano sempre non si accorgono più di esserlo. Per questo che nascono i maledetti “ mali della politica”. Ed è per questo che noi lavoratori del <BACINO DI CRISI DI CASERTA> siamo pronti a combattere.
BACINO DI CRISI DI CASERTA