VILLA LITERNO – Aria fritta. Tanto fumo e poco arrosto. Anzi solo fumo. E accuse lanciate senza uno straccio di prova. Sulla vicenda giudiziaria di Enrico Fabozzi si apre un altro squarcio di verità. La Cassazione, che nel settembre 2012 annullò l’ordinanza di custodia cautelare per presunta turbativa d’asta a carico dell’ex sindaco di Villa Literno, ha depositato lo scorso 11 febbraio le motivazioni della sentenza.
Sedici pagine in cui i giudici della Suprema Corte demoliscono il provvedimento emesso dal Tribunale di Napoli il 29 novembre 2011. E dimostrano, quasi con scherno, come l’ipotesi di reato contestata al consigliere regionale si basi sul nulla. Su teoremi. La Cassazione, quinta sezione penale, ha accolto in toto il ricorso presentato dagli avvocati Umberto Del Basso De Caro e Mario Griffo. L’ordinanza, emessa dal Tribunale di Napoli il 29 novembre 2011, riguardava l’espletamento della gara di appalto, per un importo di circa 13 milioni di euro, per i lavori di riqualificazione urbana ai tempi in cui Fabozzi era sindaco di Villa Literno.
Secondo l’accusa l’ex primo cittadino avrebbe “truccato” la gara. Come? Non si sa. Lo sostengono gli stessi pm che hanno condotto le indagini: “La gara fu “pilotata” ma non sappiamo in quale modo”. Neanche i collaboratori di (in)giustizia sono stati in grado di fornire elementi concreti. Ma anche loro hanno sentenziato: “L’aggiudicazione dei lavori non fu regolare, ma non sappiamo in che modo fu manipolata la gara”. E se lo dicono uomini d’onore come loro (assassini, estorsori, ricattatori) c’è da crederci.
Ma per fortuna in circolazione (ne sono pochi) c’è ancora qualche giudice che legge con attenzione le carte. E decide sulla scorta delle prove, come dovrebbe accadere in uno Stato di diritto, non dei teoremi. La Cassazione, infatti, ha sentenziato che la gara fu svolta nel pieno rispetto delle normative vigenti, in quanto “ispirata alla selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999”.
La Suprema Corte ha smontato l’intero impianto accusatorio per l’assoluta mancanza di indizi di colpevolezza a carico di Fabozzi. “Si registra – scrivono i giudici – una evidente contraddittorietà nella motivazione dell’ordinanza, che da un lato sembra dare per scontato che la gara sarebbe stata condizionata dall’intervento del clan camorristico, onde favorire l’aggiudicazione dei lavori a soggetti graditi all’associazione, ma dall’altro non sa indicare quale sarebbe stato il meccanismo dell’alterazione”.
Secondo la Cassazione, quindi, l’accusa a Fabozzi di aver “pilotato” la gara è infondata non essendo suffragata da nessuna prova. Ma quei segugi implacabili dei pm della Dda partenopea avevano inserito nel mazzo dell’ordinanza una carta vincente. Una prova schiacciante della colpevolezza dell’ex primo cittadino liternese. Un’intercettazione telefonica in cui l’allora sindaco, parlando con un tecnico comunale, dice, udite udite: “Abbiamo fatto le cose per bene”. Il riferimento è la bocciatura, da parte del Tar, del ricorso presentato da una ditta soccombente nella gara di appalto.
Ma per gli inquirenti d’assalto quelle parole “diaboliche” (“abbiamo fatto le cose per bene”) sono già una condanna. Che dubbio c’è: quella telefonata – sostengono i pm – dimostra che Fabozzi ha truccato la gara. Peccato (per i pm napoletani) che la Suprema Corte dia a quella frase (“abbiamo fatto le cose per bene”) la stessa interpretazione che qualsiasi persona di buonsenso darebbe. “Tale espressione – scrivono i giudici della Cassazione – ben poteva intendersi come presa d’atto della confermata legittimità dell’iter che l’amministrazione comunale aveva inteso seguire”.
Un altro colpo che mina alle fondamenta il castello accusatorio contro Fabozzi viene sferrato dalla Suprema Corte all’indirizzo dei collaboratori di (in)giustizia, le cui dichiarazioni sono state definite prive di qualsiasi riscontro oggettivo. “Ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità – si legge nella sentenza – il giudice deve risolvere il problema della credibilità del dichiarante, verificare la consistenza delle sue dichiarazioni e deve procedere all’esame dei riscontri cosiddetti esterni”.
In base a queste valutazioni – sottolineano i giudici della Cassazione, che anche su questo punto hanno accolto i rilievi dei legali di Fabozzi – non è emersa alcuna prova a carico dell’ex sindaco di Villa Literno. I pentiti, infatti, hanno fornito solo dichiarazioni generiche su presunte irregolarità nello svolgimento della gara, ma hanno loro stessi ammesso di non avere elementi per dimostrare in che modo l’affidamento dei lavori sarebbe stato “pilotato” per favorire una delle fazioni del clan.
Il 26 aprile 2012 la Cassazione annullò, anche in quel caso con motivazioni forti, un’altra ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di Fabozzi per i presunti reati di concorso esterno in associazione camorristica, corruzione e voto di scambio. Nel frattempo l’ex sindaco di Villa Literno ha già scontato quasi un anno di carcere. Fu arrestato il 15 novembre 2011 e scarcerato il 28 ottobre 2012, poi rinviato a giudizio. Eppure, per ben due volte la Suprema Corte ha annullato le ordinanze cautelari per mancanza di indizi di colpevolezza.
Se questa è giustizia…
Mario De Michele
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