NAPOLI – L’ex direttore della biblioteca dei Girolamini, nel centro antico di Napoli, Marino Massimo De Caro é stato condannato a 7 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici al termine del processo con rito abbreviato per la sottrazione di centinaia volumi. La sentenza é stata emessa dal gup Egle Pilla. Per De Caro l’accusa aveva chiesto dieci anni.
Condannati anche gli altri cinque imputati: cinque anni e quattro mesi e interdizione perpetua dai pubblici uffici per Viktoriya Pavlovsky; quattro anni e otto mesi e interdizione per cinque anni dai pubblici uffici per Alejandro Cabello e Mirko Camuri; due anni e otto mesi per Paola Lorena Weigandt e Federico Roncoletti. I sei sono stati riconosciuti colpevoli del reato di peculato per aver sottratto circa duemila volumi dalla storica biblioteca, non tutti ancora recuperati. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo e dai sostituti Michele Fini, Antonella Serio e Ilaria Sasso del Verme. Il 26 marzo prossimo comincerà l’udienza preliminare al termine della quale il gip deciderà sul rinvio a giudizio di De Caro e altri 13 imputati per il reato di associazione a delinquere. Il gip Egle Pilla ha stabilito una provvisionale di 10mila euro al Comune di Napoli, che si è costituito parte civile. La sentenza è stata emessa a conclusione dell’udienza durante la quale sono intervenuti i legali di De Caro, gli avvocati Leo Mercurio, Ester Siracusa e Grazia Volo.
Il reato ascrivibile al direttore della biblioteca dei Girolamini di Napoli Marino Massimo De Caro é senza dubbi il peculato. Proprio nel giorno della condanna a 7 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, la Cassazione ha depositato le motivazioni della sentenza con cui il 17 ottobre aveva respinto il ricorso dei suoi legali contro la custodia cautelare in carcere. Nella sentenza la Suprema Corte spiega che non ci sono “motivi di incertezza sulla natura certamente pubblica delle funzioni esercitate” dal direttore e sul “rapporto di diretta causalità” tra il suo lavoro e la “perpetrata appropriazione dei tanti volumi di inestimabile valore culturale, prima ancora che economico, di cui egli abusivamente si è impadronito”. “Correttamente – spiega la sesta sezione penale – è stato contestato il delitto di peculato”, mentre i legali del direttore mettevano in dubbio “la qualifica di pubblico ufficiale” di De Caro, e di conseguenza il reato imputatogli. Motivando la sussistenza delle esigenze cautelari, la Cassazione ha sottolineato “l’estensione temporale e la programmaticità” delle appropriazioni di libri di valore, e “l’indubbia spregiudicatezza” delle azioni di De Caro. Nelle 10 pagine della sentenza, ricostruendo il capo di imputazione, si menzionano le testimonianze dei dipendenti della Biblioteca della “disinvolta rapace asportazione di libri” compita da De Caro e dai sodali “in orari serale e notturni”. E con riferimento alle intercettazioni, si legge ancora nella sentenza, il tribunale del riesame segnala “emergenze dei dialoghi captati sulle utenze” di De Caro e dei coindagati “con particolare riferimento alla mancata perquisizione del 24 aprile 2012 (“per il rispetto dovuto alla prerogative parlamentari”)” di un appartamento di Roma, “sede dell’Associazione “Il Buongoverno”, presieduta dal senatore Marcello Dell’Utri, ma in piena disponibilità del De Caro”, un appartamento che, sempre in base alla intercettazioni, conteneva numerose scatole con materiali rilevanti per le indagini, ed “era pretestuosamente indicato come sede della segreteria politica del parlamentare”. (ANSA).