Hanno facce, nomi, eta’, sensibilita’ e storie personali diverse. Cio’ che impedisce loro di essere ‘numeri primi’ sono tre parole, ‘fine pena mai’, espressione tecnica per coloro che sono condannati a scontare l’ergastolo. Nel carcere di alta sicurezza di Carinola (Caserta) ce ne sono circa 200 su un totale di 400 detenuti.

Una volta alla settimana la ripetitivita’ delle loro giornate e’ rotta dall’incontro con Giuseppe Ferraro, docente di Filosofia all’universita’ Federico II di Napoli, che da 4 anni tiene lezioni di Etica delle relazioni all’interno dell’istituto penitenziario. Grazie all’associazione culturale Achab, questa volta l’incontro e’ stato allargato ad alcuni studenti dell’ateneo partenopeo, nell’ambito dell’iniziativa ‘L’Arte della felicita”. Di fronte ai ragazzi ci sono uomini di eta’ compresa tra i 35 e i 60 anni, che, come spiega la direttrice del carcere, Carmen Campi, appartengono a tutte le famiglie criminali, da Nord a Sud, condannati per associazione a delinquere. Le loro voci ‘arrugginite’ da lunghi silenzi o periodi di isolamento catturano l’attenzione e fanno dimenticare almeno per un momento il loro passato. Cosi’ si scopre che Giuseppe, 47 anni, di cui 20 trascorsi in cella, e’ prossimo alla laurea in Lettere moderne e il voto dei suoi esami non e’ mai sceso sotto il 30. “Senza la liberta’ siamo come piante – dice – esistiamo ma non viviamo”.

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