Nel decreto con il quale il 26 maggio scorso veniva ordinata la perquisizione della sua casa e dell’ufficio al Centro Direzionale veniva indicato come “uno stabile punto di riferimento politico” del clan dei Casalesi. Quella ipotesi iniziale, che aveva indotto i magistrati della Dda di Napoli a indagarlo per concorso esterno in associazione mafiosa, non ha retto ai successivi accertamenti svolti dagli inquirenti. Nei confronti di Stefano Graziano, consigliere regionale ed ex presidente del Pd della Campania (autosospesosi dall’incarico di partito proprio in seguito al coinvolgimento nella vicenda giudiziaria) i pm della Dda hanno disposto l’invio degli atti per competenza territoriale alla procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) qualificando i fatti addebitati all’esponente politico non più come indicativi di una presunta collusione con il clan, bensì ipotizzando il solo reato di voto di scambio (non aggravato dall’articolo 7, ovvero dalla finalità mafiosa). La trasmissione degli atti porta la firma dei sostituti Alessandro D’Alessio, Maurizio Giordano, Gloria Sanseverino e Luigi Landolfi, coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. La posizione di Graziano è stata stralciata da quella di altri indagati, tra i quali l’imprenditore Alessandro Zagaria – ritenuto legato alla cosca capeggiata dal boss Michele Zagaria (solo omonimo), del clan dei Casalesi – l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro nonché alcuni funzionari del Comune. L’ipotesi di collusione, poi caduta, si reggeva in particolare sui rapporti tra Graziano e Alessandro Zagaria che, come emerge dalle intercettazioni telefoniche e dai pedinamenti svolti nel corso delle indagini, gli aveva assicurato l’appoggio elettorale per le regionali 2015, che si conclusero con un notevole successo personale di Graziano. Non si conoscono le motivazioni dei magistrati dell’Antimafia, in ogni caso è possibile dedurre che negli sviluppi dell’inchiesta non è emersa la consapevolezza da parte di Graziano che Alessandro Zagaria fosse vicino – come ipotizzano invece i pm – al clan. Il filone principale dell’inchiesta riguarda i lavori di ristrutturazione dello storico palazzo Teti Maffuccini a Santa Maria Capua Vetere, un appalto finito al centro di un giro di tangenti. Graziano si sarebbe adoperato perché non venissero persi i finanziamenti, impegnandosi a farli trasferire in un diverso capitolo di spesa: una iniziativa comunque non ritenuta illecita dagli inquirenti. “Stefano Graziano, appena appresa la notizia dell’esistenza di un procedimento a suo carico per concorso esterno in associazione camorristica, si è messo a disposizione della Procura della Repubblica di Napoli presentandosi spontaneamente e chiedendo di essere interrogato”, hanno sottolineato i legali di Graziano, gli avvocati Michele Cerabona e Antonio Villani. “La Direzione distrettuale antimafia di Napoli – hanno aggiunto i legali – ha svolto in tempi brevi le indagini di sua competenza e ha deciso di avanzare una richiesta di archiviazione al gip per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, e la trasmissione degli atti, per competenza, alla procura di Santa Maria Capua Vetere perché voglia indagare e valutare in merito ad una presunta violazione della legge elettorale. In attesa della decisione del gip e delle ulteriori determinazioni della procura i Santa Maria Capua Vetere la difesa, sicura della correttezza dei comportamenti del loro assistito, confida che l’intera vicenda possa chiudersi positivamente e al più presto”. Erano stati in molti soprattutto tra i 5 Stelle ad aver già emesso una sentenza di condanna contro Graziano, esponendolo ad una gogna mediatica senza appello. Oggi, la decisione dei pm ricorda a tutti che in Italia un avviso di garanzia non può e non deve essere mai equiparato ad una sentenza di condanna.

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