E’ durata circa tre ore la deposizione di Roberto Saviano nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), nel processo per diffamazione a mezzo stampa che lo vede parte offesa. Due i giornalisti imputati: il responsabile e l’articolista di un sito web casertano dove vennero pubblicati, tra il maggio e l’ottobre 2008, i cinque articoli incriminati, di cui solo uno firmato mentre gli altri erano in parte ripresi anche da altri siti. “Quello era un periodo particolare – ricorda Saviano – in cui nel Casertano avvenivano le stragi per opera di Setola. In quegli articoli, oltre ad affermare che nel libro Gomorra avevo scritto letteralmente ‘cazzate’ e ciò raffrontandolo con un libro sulla camorra scritto da un altro cronista (Gigi Di Fiore del Mattino, ndr), si faceva, tra le altre cose, riferimento anche all’abitazione di mia madre a Caserta, cosa che mi inquietò molto, ad un mio libro sull’ospedale di Caserta che non ho mai scritto e alla circostanza che la scorta a me assegnata non fosse necessaria”. Nel corso dell’udienza, Saviano racconta di come ebbe la scorta: “Io iniziai a essere protetto nel 2006, poco dopo la pubblicazione di Gomorra, in particolare dopo aver partecipato a una manifestazione pubblica a Casal di Principe in cui dal palco feci i nomi dei boss Schiavone, Bidognetti, Zagaria e Iovine; c’erano anche i loro familiari”. Prima di tornare a Napoli con il treno, gli agenti della scorta di Fausto Bertinotti mi dissero: “Il ragazzo non si muove da qua”. Saviano parla anche dell’intervista resa dall’ex capo della Mobile di Napoli Vittorio Pisani al Corsera in cui l’investigatore diceva che la scorta allo scrittore non fosse necessaria. “La sua era solo un’opinione personale”, dice in aula Saviano. Pronta la replica di uno degli avvocati degli imputati: “Non era un’opinione perché Pisani – dice il legale – interpellato dalla prefettura di Napoli, aveva in un primo momento ritenuto con un parere formale che la scorta in effetti non fosse necessaria”.

 

 

 

 

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