“Andai a fare gli auguri a don Peppe nel giorno del suo onomastico e la camorra scelse quella data per ucciderlo. Andai subito dai carabinieri ma da allora sono stato abbandonato dalle istituzioni”. A dirlo a Radio Rai, durante la trasmissione “Restate Scomodi”, è Augusto Di Meo, che denunciò i killer di don Peppe Diana, ucciso il 19 marzo 1994 ma a cui è stato negato lo status di testimone di giustizia. Di Meo ha fatto condannare tre killer e ha salvato dall’ergastolo due innocenti ma ha raccontato di non aver avuto mai nessuna scorta, nè alcun tipo di aiuto economico dallo Stato, eppure dovette lasciare Casal di Principe con la famiglia. “Ho messo in discussione la mia vita, quella di mia moglie e di due bambini piccoli – ha raccontato – dal ’94 al ’98 sono stato a Spello, in Umbria, poi sono dovuto tornare nella mia terra perchè il negozio in Umbria andava male. Mi aiutarono i parenti ma una parte della gente del posto mi ha isolato, ero considerato uno spione, uno sbirro. Andavo ai processi accompagnato da un amico sacerdote, ma questo mi sembra assurdo, c’erano i camorristi nelle aule dei tribunali”. Il problema è che le norme che tutelano i testimoni di giustizia sono state previste nel 2001 ma la denuncia di Di Meo risale all’epoca dei fatti, ovvero al ’94. “I processi però si sono chiusi nel 2004 – lamenta Di Meo – e in 22 anni non ho mai avuto un referente, una persona a cui poter raccontare le mie problematiche, nè sono stato seguito con aiuto psicologico, eppure sono un cardiopatico e ho problemi di pressione”.


 

 

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