”Presenteremo ricorso, e spero che una nuova commissione trovi il legame tra i tumori che hanno ucciso mio padre, ed il suo lavoro nei campi contaminati. Lo spero per tutti quegli operatori anonimi che ogni giorno sequestrano aree con rifiuti di ogni genere e sono esposti a rischi”. E’ quanto afferma Emiliano Liguori, figlio di Michele, il vigile urbano di Acerra (Napoli), morto lo scorso gennaio e divenuto simbolo della lotta alle ecomafie nella Terra dei fuochi, commentando il no da parte dell’Inail alla richiesta di risarcimento, in quanto, secondo l’Istituto, non sarebbe dimostrabile che il decesso sia stato causato dall’attività lavorativa. Emiliano, 32enne laureato in ingegneria informatica, spera che un accoglimento del ricorso possa divenire un ”precedente per tutti quelli che lottano come mio padre”. ”Avevamo presentato una richiesta all’Inail perché ci era stato consigliato da un’assistente dello stesso istituto – racconta – abbiamo portato tutta la documentazione, gli ordini di servizio, i sequestri di aree contaminate effettuati da mio padre, le cartelle cliniche che dimostravano la presenza dei due tumori maligni che hanno stroncato mio padre in pochi mesi. Ma soprattutto le analisi che dimostravano che nel sangue di mio padre c’erano percentuali record di Pcb, policlorobifenili, presenti anche nelle aree sottoposte a sequestro da papà, e che secondo quanto pubblicato dalla rivista ‘Lancet oncology’ sono classificati nella categoria 1. In poche parole per la scienza il nesso con la malattia c’è, quindi non capiamo perché l’Inail abbia rigettato la richiesta”. Emiliano spiega che un legame tra il lavoro di Michele e la sua morte è emerso anche dagli interventi delle istituzioni nei giorni successivi al decesso del padre: ”E’ paradossale che le istituzioni a parole elogino e riconoscano quanto accaduto e poi nei fatti ci si ritrovi di fronte ad una lettera dell’Inail in cui si dice che non c’è un nesso. Tra i tanti, anche il procuratore Caselli ha citato l’esempio di mio padre, e la sua morte legata al lavoro. Ora spero che ci sia l’accoglimento della richiesta per aprire uno spiraglio a tutti quegli operatori che ogni giorno lavorano nell’anonimato, senza il clamore delle telecamere. Quei forestali, quei militari che sequestrano campi contaminati in tutta Italia, e sono sottoposti a rischi simili a quelli che hanno ucciso mio padre ad Acerra, sono mandati allo sbaraglio, e così come stanno le cose, non possono chiedere un risarcimento per eventuali danni subiti, anche solo per curarsi.

 

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