In carcere in regime di 41 bis il boss ergastolano Salvatore Cappello, 58 anni, ha «continuato a ricoprire il ruolo di capo indiscusso dell’omonimo clan, dando direttive ai sodali» grazie a «Maria Rosaria Campagna, 48 anni, sua storica compagna», residente a Napoli, e ritenuta «anello di congiunzione tra il predetto boss ed i vertici operativi a Catania, dove si recava frequentemente». È quanto emerge dall’inchiesta “Penelope” della Dda della Procura etnea, guidata dal procuratore Carmelo Zuccaro, che ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare per 31 presunti appartenenti alla cosca Cappello-Bonaccorso al centro di un’indagine della squadra mobile e dello Sco. Un indagato è al momento irreperibile. I provvedimenti restrittivi e sequestri di beni per 10 milioni di euro sono stati eseguiti da 300 agenti della polizia di Stato. Il clan, strutturato con un’organizzazione fortemente gerarchica, aveva un gruppo di comando (Santo Strano, Giovanni Catanzaro, Giuseppe Salvatore Lombardo, Salvatore Massimiliano Salvo e Calogero Giuseppe Balsamo) e “squadre” che avevano un responsabile per settore: città, paesi e Piana di Catania. Uno dei primari giri d’affari illegali del gruppo era il traffico di droga con la gestione diretta di diverse ‘piazze di spacciò nei rioni San Cristoforo e Librino, che aveva esteso in due paesi etnei con “collaboratori” localì di fiducia. La cosca si era specializzata anche in “recupero crediti” per commercianti e imprenditori: teneva per sé una percentuale dei soldi incassati e stringeva rapporti con i “clienti” ai quali poi poteva chiedere favori come assunzioni o infiltrarsi nelle loro attività. I notevoli capitali illegali erano riciclati anche grazie a una vaste rete di rapporti economici.