Rifiuti tossici sotterrati a un metro di profondità, in un fondo agricolo su cui si coltivavano i famosi pomodorini dop “del Piennolo”, sono stati scoperti oggi nel Parco Nazionale del Vesuvio dagli uomini del Corpo Forestale dello Stato. I rifiuti, circa trenta fusti contenenti materiale bituminoso e idrocarburi, sono stati trovati nel corso di scavi disposti nell’ambito indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Napoli a cui hanno preso parte anche i carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico. Le forze dell’ordine hanno messo sotto sequestro l’area e la produzione, per impedire che i pomodori finissero nei mercati del Napoletano anche se, come viene sottolineato dal Consorzio di Tutela del pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop, dalle analisi eseguite dall’Istituto Zooprofilattico di Portici (Napoli), commissionate dal produttore circa un mese fa dopo i primi ritrovamenti, “non è risultata la presenza di sostanze inquinanti o nocive per la salute umana né nel terreno di coltivazione, né nelle bacche di pomodoro”. Sia le piantine che i fusti, comunque, sono stati sottoposti a un campionamento: sui prelievi sarà eseguita una specifica caratterizzazione fisico-chimica, attraverso analisi di laboratorio, da parte dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (Arpac). Ulteriori analisi, in sostanza, disposte per escludere eventuali rischi per la salute dei consumatori. I fusti sarebbero di tipo industriale e avrebbero una capacità di circa 200 litri: ciascuno contiene scarti speciali pericolosi di origine catramosa e oli esausti. Nella cava dismessa di Ercolano (Napoli), su cui era stata avviata la produzione dei pomodorini dop, oltre ai fusti sono stati anche trovati materiali di risulta edile, parti di manto stradale e amianto frantumato. I veleni si trovavano una profondità variabile tra i trenta centimetri e il metro e mezzo. Le ricerche dei rifiuti illegalmente interrati sulle pendici del Vesuvio sono iniziate qualche settimana fa e proseguiranno anche nei prossimi giorni. Gli inquirenti, infatti, non escludono che nella zona siano stati nascosti altri scarti dello stesso tipo. L’area del ritrovamento, infatti, è vicina al luogo dove il 2 ottobre scorso furono trovati una quarantina di fusti contenenti rifiuti speciali pericolosi, amianto frantumato, materiale di risulta proveniente da demolizioni e residui di manifattura di pellame. “Un ritrovamento che inquieta e allarma, ma che non ci meraviglia”, ha commentato, in una nota, Legambiente. “Sin dagli inizi degli anni ’90 – ricordano gli ambientalisti – l’ecomafia dei rifiuti ha regnato alle pendici del Vulcano dove, attraverso le cave, si realizzava il primo anello del circuito economico della rifiuti Spa”. (

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