NAPOLI – Ha rivisto il mare dopo sedici anni, dopo un pezzo di vita trascorso nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli. Gennaro, il mare, quasi non lo ricordava piu’. ”E’ un’emozione stupenda, vorrei restare per sempre qui”, dice quando lo rivede. E come a lui, anche ad altri 14 detenuti dell’Opg oggi e’ mancato il fiato. Per loro la Comunita’ di Sant’Egidio, unico caso in Italia, per il terzo anno consecutivo, in permesso premio, ha organizzato una gita al mare, a Sorrento. E per diverse ore, i delitti, le condanne, sono scomparse.

Almeno dal cuore. ”La liberta’ e’ un sogno. Questo mare mi entra nei polmoni e nella testa, lo portero’ con me quando saro’ dentro”, dice Nunzio con un filo di voce. Il panorama e’ di quelli che fermano il tempo. E i pensieri. Un piccolo triangolo di spiaggia bruciato dal sole con alle spalle la costa rocciosa ricoperta di macchia mediterranea. Di fronte il mare. Calmo, azzurro intenso. ”Facciamo respirare loro un po’ di liberta’ – dice il direttore dell’Opg, Stefano Martone – Un passo importante nel loro percorso di riabilitazione dei detenuti, un modo per accelerare il loro reinserimento in societa”’. La natura in stato di grazia sembra quasi voler abbracciare queste quindici anime dannate. Quindici uomini che nella loro vita hanno sbagliato, che si sono macchiati di delitti anche particolarmente efferati e che ora stanno pagando. Il sole dell’estate napoletana, del resto, e’ impietoso sulle mura dell’Opg, toglie il fiato di giorno e di notte. E allora anche poche ore su un triangolo di spiaggia possono restituire il respiro. E cosi’, un caffe’ e una sigaretta a riva e poi il bagno tutti assieme, come un qualsiasi gruppo di amici in gita. Con due bracciate si puo’ raggiungere un gozzo e trasformarlo in trampolino per i tuffi. Una situazione di normalita’. Sulla carta, con la prossima chiusura degli Opg, dovrebbe essere cosi’ per tutti gli ex detenuti. Per i 106 della struttura napoletana, per i 200 di Aversa, in provincia diCaserta, e per quelli di tutta Italia. ”La riforma e’ sacrosanta – dice il portavoce della Comunita’, Antonio Mattone – ma e’ un dato di fatto che il nostro sistema sanitario non e’ ancora pronto. Il carcere produce malattia mentale, e’ un serbatoio continuo di pazienti che poi finiscono negli Opg. Allo stesso tempo c’e’ il problema delle dimissioni dei pazienti che una volta usciti non sanno dove andare. Le famiglie non vogliono piu’ riprenderseli e le strutture territoriali praticamente non esistono”. Dal mare al ristorante. La comitiva si sposta a tavola e basta una bottiglia di Coca cola per fare festa. Si brinda, tutti insieme, ”a tutti noi, che siamo l’uno per l’altro la nostra famiglia”. Qualcuno intona i versi di una canzone napoletana. Lo fa a voce bassa, ”cosi’ non disturbiamo nessuno, cosi’ non ci dicono che siamo matti”. Nel primo pomeriggio arriva anche il saluto dell’arcivescovo di Sorrento e Castellammare, Francesco Alfano, ”per la Chiesa e’ importante accogliere queste persone” dice. Poi, a fine giornata tocca ai saluti. Qualcuno resta in silenzio, qualcun altro si commuove. Per i quindici detenuti e’ tempo di tornare. Si risale sul bus, destinazione Secondigliano. Si ritorna dentro.

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