Nessuno ha l’obbligo di rivelare le notizie e il nome della sua fonte confidenziale. Se Pisani lo ha fatto, ha fatto un di piu’, e posso affermare che si tratta di un funzionario scrupoloso. Io al suo posto non lo avrei fatto; se lo ha fatto vuol dire che ha voluto tutelarsi”.
E’ questo il punto nodale delle dichiarazioni del vicecapo della polizia Francesco Cirillo, in tribunale a Napoli come teste nel processo, nato dall’indagine sul riciclaggio di soldi della camorra in ristoranti, dove e’ imputato anche l’ex capo della Squadra mobile partenopea, Vittorio Pisani. Al centro della testimonianza di Cirillo, i rapporti del funzionario con la sua fonte confidenziale, Salvatore Lo Russo, ex boss ora pentito: “Io, in venti anni di mestiere, non ho mai fatto una relazione ai miei superiori tranne che per eventuali elargizioni di somme in cambio di qualche informazione. Il dare e avere e l’abc del lavoro della polizia giudiziaria. Ovviamente il rapporto e’ sempre nei limiti del codice penale, ma si tratta di piccoli favori, di piccoli accorgimenti”, dice. Sollecitato dal pm della Dda, Sergio Amato, Cirillo spiega come funzionano i rapporti con le fonti confidenziali. “Sono rapporti personali, intimi, che io per esempio, a differenza di Pisani, tengo in segreto nel mio cuore – evidenzia – a volte alcune persone che passano notizie a me e ai miei uomini sono state ammazzate per questo”. “Ha mai avuto un capo della camorra come confidente?”, chiede il pm; “No, mai, ma lo spessore investigativo di Pisani non puo’ essere paragonato al mio”, la risposta. E poi, “Ha mai vissuto un rapporto con un confidente cosi’ duraturo come quello di Pisani con Lo Russo”? “No, in verita’ io mi servivo dei confidenti quando lo ritenevo necessario ed era possibile che ne perdessi le tracce per mesi o addirittura anni”.