Arriverà entro una decina di giorni la decisione del tribunale civile di Aversa – collegio presieduto da Marcello Sinisi – sul reclamo presentato dai legali di Facebook contro l’ordinanza che condannava la società al pagamento delle spese legali, pari ad oltre 3500 euro, a favore di Tiziana, la ragazza 31enne di Mugnano di Napoli suicidatasi nel settembre scorso dopo la diffusione di suoi video hard, postati sul web a sua insaputa. Video diventati in poco tempo virali e oggetto di commenti offensivi. Video che ancora oggi, dice Andrea Orefice, legale con Andrea Imperato della famiglia della ragazza, “si trovano su alcuni siti”. “Basta cliccare il nome e il cognome della ragazza – spiega l’avvocato – e aggiungere una delle tante parolacce che le sono state rivolte prima e dopo il suicidio. Questa è una gogna mediatica senza fine che sta centuplicando il dolore della madre, che vorrebbe solo che non si parlasse più di questa tragica vicenda. E a tal proposito il reclamo presentato da Facebook mi è sembrato inopportuno; mi sarei aspettato un approccio più collaborativo, affinché si arrivasse ad una conclusione che rendesse dignità alla memoria di Tiziana”. La questione non riguarda tanto le spese legali, per le quali gli avvocati di Facebook Ireland Ltd hanno chiesto la compensazione, quanto il criterio del controllo preventivo sui contenuti dei video pubblicati, che a loro dire non sarebbe possibile. Nell’ordinanza oggetto del reclamo, il giudice monocratico di Aversa Monica Marrazzo, da un lato, aveva dato ragione a Tiziana obbligando alcuni social, tra cui Facebook, a rimuovere video, commenti, apprezzamenti e al pagamento delle spese per una cifra pari a 320 euro oltre a 3645 euro per compensi professionali; dall’altro lato la stessa Tiziana era stata a sua volta condannata a rimborsare le spese legali a cinque siti – Citynews, Youtube, Yahoo, Google e Appideas – per circa 20mila euro. Per i legali del social network l’ordinanza conteneva errori di fatto e di diritto; in particolare “alla data di presentazione del ricorso, solo un link su quattro era accessibile su Facebook e peraltro senza contenuti a sfondo sessuale”, e inoltre “al momento dell’emissione dell’ordinanza non ce n’era nessuno illecito o accessibile”. In sostanza “era cessata la materia del contendere”.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui