Tre anni e quattro mesi di reclusione. E’ la richiesta di condanna avanzata dal pubblico ministero Manuela Persico nei confronti di Giovanni Macchiarolo, il carabiniere che il 5 settembre dello scorso anno uccise al Rione Traiano, alla periferia di Napoli, il 17enne Davide Bifolco, che non si era fermato a un posto di blocco e fuggiva in sella a uno scooter insieme con altre due persone.

L’accusa ha chiesto in pratica il massimo della pena (cinque anni) prevista per il reato di omicidio colposo, ridotta di un terzo per l’adozione del rito abbreviato. La sentenza sarà emessa dal gup Ludovica Mancini il primo ottobre prossimo, dopo l’arringa difensiva dell’avvocato Salvatore Pane. L’udienza ha vissuto momenti di concitazione quando il padre di Bifolco ha protestato con veemenza in aula ritenendo troppo esigua la richiesta di pena proposta dal pm. Il giudice ha fatto allontanare i pochi familiari presenti in aula ­ che si sono costituiti parte civile ­ ed ha sospeso il dibattimento per una decina di minuti. Davanti ai cancelli del Tribunale, presidiato da numerosi poliziotti, si sono radunati amici e parenti di Davide. Qualcuno ha inveito all’indirizzo delle forze dell’ordine. Alla ripresa del processo l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Bifolco, ha confutato le tesi della procura, sostenendo che non si è trattato di omicidio colposo (un colpo partito accidentalmente perché il carabiniere stava inciampando) e ciò sulla base delle dichiarazioni di alcuni testimoni oculari e sulla interpretazione delle immagini riprese dalle videocamere e delle conversazioni registrate tra la pattuglia che intervene e la centrale operativa. Per l’avvocato Anselmo, il processo è condizionato dal pregiudizio determinato dalla circostanza che i fatti sono avvenuti in un quartiere ”difficile” come il Rione Traiano dove è presente la camorra. Davanti all’aula 111 del Palazzo di Giustizia, dove si è svolta l’udienza, erano presenti anche Ilaria Cucchi e Claudia Budroni, sorelle rispettivamente di Stefano e Dino (il giovane morto in ospedale una settimana dopo l’arresto ­ una vicenda ancora in attesa di una verità giudiziaria sui presunti pestaggi subiti dopo la cattura ­ e il 40enne ucciso da un colpo di pistola esploso da un poliziotto durante un inseguimento sul Grande raccordo anulare di Roma). ”E’ sempre la stessa solitudine che si prova in queste aule ­ ha detto Ilaria Cucchi ­ nel momento in cui le cosiddette vittime di ingiustizie, vittime di Stato vengono di fatto abbandonate dallo Stato, allora diventa importante essere uniti, far capire a queste famiglie che non sono sole”. ”Vittime ­ ha aggiunto ­ come mio fratello Stefano e come Davide Bifolco muoiono due volte, gli schemi si ripetono in questi processi, siamo di fronte a quello che io chiamo il processo al morto, la vittima viene di fatto messa sul banco degli imputati perché spesso nell’immaginario collettivo si ha bisogno di dimostrare che il primo colpevole è il morto stesso. E questo è veramente terribile, umanamente inaccettabile da parte di una famiglia che ha già sofferto tanto”.

 

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