Il nuovo libro del vescovo emerito Raffaele Nogaro “Peppino Diana. Il martire di Terra di Lavoro” – Ed. Il Pozzo di Giacobbe, con una introduzione di Sergio Tanzarella – va letto come un messaggio accorato di resistenza civile e di speranza. La sua testimonianza fa piena luce sulla figura del giovane sacerdote trucidato dalla camorra, senza alcuna edulcorazione del personaggio di mera immagine, come quella emersa da alcune recenti fictions televisive e cinematografiche. Lo considero un testo pieno di passione militante da consigliare a tutti, soprattutto nelle scuole, come un manifesto di educazione civica e cristiana. Come ha sottolineato Marisa Diana in occasione della presentazione nella stracolma chiesa del Buon Pastore a Caserta, in tutte le sue pagine risalta il rigore morale di un messaggio di “denuncia ed annuncio”, lanciato nella parte finale della ormai famosa lettera promossa da don Peppino e sottoscritta dai sacerdoti della Forania (e riportata per intero a conclusione del volume), in cui si chiedeva ai “preti nostri pastori e confratelli di parlare chiaro“, senza mai rinunciare al loro “ruolo profetico” capace di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà e dei valori etici e civili. In quel terribile Natale del 1991 questo documento rappresentava una chiara sfida a quelle forze del male e della violenza che allora imperversavano nelle terre di Gomorra. Una vera provocazione “per amore del mio popolo”, che parlava soprattutto ai giovani. Per questo venne ucciso con un gesto simbolico sull’altare della sua chiesa mentre si accingeva a dire messa. Come ricorda Nogaro: “Don Peppino ha combattuto la camorra e la camorra lo ha ucciso”. Da qui l’appello accorato a tutto il mondo della Chiesa – e non solo – affinché venga riconosciuto come il vero “martire di Cristo in Terra di Lavoro”, come il simbolo del movimento di lotta avviato nei giorni del suo funerale a Casal di Principe per affermare la cultura della cittadinanza e legalità democratica, del riscatto economico-sociale.”Dove c’è la camorra non ci può essere sviluppo sociale, perché le ragioni spietate dell’egoismo disperdono ogni organizzazione del bene comune” – così leggiamo in uno dei capitoli centrali. Proprio perché “è divenuto il simbolo della resurrezione delle nostre terre” la Chiesa (a partire da Papa Francesco) non può più indugiare per riconoscere la santità di don Peppino (al pari don Puglisi e tanti altri martiri). Lo sostiene in modo netto il VE Nogaro. Un altro passaggio importante ed attuale del libro sta nel seguente brano. “In Terra di Lavoro la Chiesa aveva piuttosto imparato a difendersi con lo scudo crociato” come simbolo di potere. Con questo richiamo l’autore ci riporta all’esigenza di conoscere le radici profonde su cui è attecchita la mala pianta della criminalità organizzata, sulle responsabilità di tanti “benpensanti” (così li definisce Nogaro), i quali anche dopo l’uccisione di don Peppino hanno cercato di negare l’evidenza.
Come sindacalista ho ancora il ricordo bruciante di alcuni imprenditori e professionisti (ma anche di tanti amministratori) che in quegli anni roventi tentavano di sminuire il condizionamento che la camorra esercitava su tanta parte della vita economica, su quella politica ed istituzionale a volte collusa e connivente, per cui non consideravano la lotta per la legalità come elemento prioritario per lo sviluppo. Per non parlare di quella parte delle imprese che ha fatto i propri affari (vedi lo scandalo dei rifiuti) proprio con il malaffare. Per queste ragioni va data continuità all’opera di don Diana il cui intervento “riuscì ardimentoso e decisamente profetico”. Certamente occorre in primo piano l’azione di contrasto e di repressione delle forze dello stato per reprimere tale fenomeno. “Ma ciò che introduce smarrimento nelle cosche camorristiche e dissocia i loro piani, è l’imprenditoria morale, è l’organizzazione dei valori e soprattutto il coraggio dei volontari” – come si legge a pag. 59. A tal fine diventa fondamentale il ruolo della scuola e dei giovani, della cultura e del sapere come fattore di coesione sociale. Nello stesso tempo risulta decisiva l’azione avviata da tante associazioni del terzo settore e del volontariato (laico e cattolico) per costruire dal basso una nuova economia sociale, uno sviluppo locale innovativo ed ecosostenibile capace di creare nuova occupazione giovanile, anche grazie all’uso sociale e produttivo dei beni confiscati alla camorra, dei ricchi patrimoni che una volta erano simbolo del loro potere sul territorio, mentre ora possono segnare una nuova stagione di rinascita grazie anche all’apporto di progetti promossi da associazioni e sostenuti da enti (come la Fondazione con il Sud e Banca Etica).
Pasquale Iorio
(Portavoce FTS Casertano)