di Mario De Michele

Nel mondo all’incontrario la linea che separa il bene dal male è indistinguibile. Il confine tra vero e falso, tra verità e menzogna, tra onestà e delinquenza appare poco chiaro, fino a scomparire come quando si guarda un orizzonte lontano e mare e cielo diventano tutt’uno. Nel mondo capovolto “di notte tutte le vacche sono nere”, direbbe Hegel per opporsi a chi vuole generare solo confusione perdendo di vista la realtà. Ma è una battaglia persa in partenza. Gli abitanti del mondo all’incontrario utilizzano un’arma cara a Goebbels, il ministro della Propaganda del regime nazista: “la bugia ripetuta più volte diventa verità”. C’è poco da fare quindi. Lo so. Mi restano solo lo stupore e l’indignazione di fronte alla macchina del fango azionata da tempo dai finti paladini della legalità contro Marcello De Rosa. Stupore e indignazione che sono riaffiorati con forza durante il corteo (clicca qui per guardare il video) a Casapesenna a sostegno del sindaco dimissionario. Il primo cittadino ha gettato la spugna dopo il recente attentato subito dal fratello Luigi. Tre uomini incappucciati e armati lo hanno minacciato di morte dicendogli “tuo fratello deve andarsene dal Comune”. Mentre il popolo era lì in strada (c’ero anch’io) sotto una pioggia battente a gridare al mondo “no alla camorra, sì a Marcello De Rosa” con striscioni coraggiosi e inequivocabili, nonostante il clima pesante che si respira di nuovo a Casapesenna, c’è ancora chi sputa veleno, rimesta nel torbido, alimenta dubbi con l’obiettivo di sporcare l’immagine del sindaco dimissionario. Ma proprio in quella stupenda serata di civiltà e legalità dell’8 dicembre 2017, proprio quando centinaia di cittadini concludevano il corteo entrando nella casa di De Rosa, invadendo stanze e giardino, proprio quando ho incrociato gli occhi gonfi di lacrime del sindaco e di sua moglie Meri, proprio allora ho sentito un nodo alla gola, ho avvertito una forte sensazione di soffocamento, ho capito che combattere contro il mondo capovolto è come sperare di annientare un mostro invisibile, immortale, armato del motto letale “la bugia ripetuta più volte diventa verità”. Ed ecco in azione gli untori, i menzogneri, i sepolcri imbiancati. Qualcuno ha detto che l’attentato al fratello del sindaco è stata “tutta una messinscena perché a fine dicembre sarebbe stata tolta la scorta a Marcello De Rosa e alla sua famiglia”. Peccato che lo scorso ottobre, all’atto della revisione semestrale, il ministero dell’Interno ha confermato le scorte fino all’aprile 2018. Qualche altro ha fatto sapere di non aver partecipato al corteo perché “si vocifera che il sindaco sia indagato”. Ma nessuno dice che sono voci che si rincorrono da tre anni senza mai trovare alcun riscontro. E poi ci sono i politici pavidi e quelli che hanno fatto carriera solo in quanto simboli (e basta, aggiungo io) anticamorra. Quelli che si sentono gli unici moralmente autorizzati a concedere la patente della legalità. Se ogni tanto avessero l’onestà intellettuale di guardarsi un po’ attorno, nella loro cerchia, dovrebbero ritirare pile di patenti. E non hanno perso l’occasione per gettare altra benzina sul fuoco i componenti di qualche associazione locale che spesso confondono l’impegno civile con la lotta politica contro l’amministrazione De Rosa. C’era, e ne diamo atto, Gianni Solino, referente provinciale di Libera. Persona seria e perbene. A differenza di alcuni professionisti dell’antimafia che hanno issato la bandiera della legalità per tornaconto personale. Così negli anni hanno fatto “carriera” e soldi smettendo i panni dei volontari per indossare quelli, a seconda dei casi, di novelli imprenditori o di avvocati con lo studio improvvisamente affollato di clienti, quando invece senza la corsia preferenziale dell’anticamorra di professione facevano la fame ed era più facile che un cammello passasse per la cruna di un ago che qualcuno chiedesse la loro assistenza legale. Nel mondo all’incontrario succede anche questo. E il termine volontariato diventa sinonimo di profitto, arricchimento, privilegio. A proposito, verrà il giorno in cui sapremo da chi e come vengono gestiti progetti attuati con finanziamenti pubblici? Non nutro speranze. Nel mondo capovolto la legalità, in alcuni casi, non va a braccetto con la trasparenza. Capita invece che pseudo-giornalisti/e neanche alfabetizzati si ergano a fustigatori del prossimo, purché sia un prossimo distante da loro e dai loro amici degli amici. Scribacchini/e eternamente in guerra con la lingua italiana, sterminatori/trici dell’ortografia, serial killer della sintassi si autoproclamano (pur non conoscendo il significato del verbo proclamare) censori, giudici, moderni Torquemada (tranquilli, non è una parolaccia) che puntano l’indice, guarda un po’, quasi sempre nella direzione sbagliata. Mentre vanno d’amore e d’accordo con i politici allergici alla parola onestà. Che però i santi inquisitori incensano e tutelano, chissà perché, con amorevole cura.

Faccio un esempio così ci capiamo subito. Nell’inchiesta del 2015 sugli appalti all’ospedale di Caserta, gestiti secondo la Dda dal clan di Michele Zagaria e che portò a ben 24 arresti, fu coinvolto anche l’allora consigliere provinciale del Pdl Antonio Magliulo, considerato dagli inquirenti il colletto bianco che faceva da tramite tra camorra e i vertici dell’azienda ospedaliera. Di Magliulo come “uomo nostro” ha anche parlato il pentito Barone che lo ha definito come “persona di fiducia del capo clan Zagaria”. E sempre Magliulo era finito nel mirino dell’Antimafia già nel 2012. Il prefetto emise nei suoi confronti un’interdittiva antimafia per la partecipazione al Raggruppamento Temporaneo d’Imprese Progin Spa, formato da professionisti e aggiudicatario di alcuni appalti previsti dai fondi “Più Europa”. La Progin si era aggiudicata ad Aversa la progettazione di alcune opere tra cui il servizio di bike sharing il cui importo totale era di 130mila euro. Il provvedimento fu adottato ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 490/1994, ovvero per elementi reagitivi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate. Perché mi soffermo su Magliulo? Nessun accanimento. Ma le sue vicende giudiziarie squarciano il velo dell’ipocrisia dietro al quale si nascondono gli pseudo-giornalisti anticamorra. Nell’ambito dell’indagine sull’ospedale di Caserta è spuntata un’informativa della polizia giudiziaria in cui si parla dell’incontro in un bar tra l’allora consigliere provinciale Pdl e una giornalista di cui non si fa il nome. La giornalista consiglia sottovoce a Magliulo di non menzionare cose compromettenti perché il bar dove si trovano è sottoposto a intercettazioni ambientali. Una circostanza inquietante che in un mondo non capovolto farebbe drizzare le antenne a chiunque e farebbe sorgere una serie di inevitabili domande. Uno: perché una giornalista informa un politico della presenza di cimici in un bar da lui frequentato? Due: chi è la giornalista-spia? Tre: perché questa vicenda non ha avuto un seguito giudiziario? Inutile attendere risposte. Nel mondo all’incontrario non ci saranno. Qui, nella realtà distorta, il delinquente è Marcello De Rosa, per inciso nemico politico di Magliulo. A sostenerlo con la forza diabolica dell’infamia sono proprio coloro i quali hanno arredato le proprie case con decine di armadi pieni di scheletri. Però ora che scrivo non ci voglio pensare. Ho impressi nella mente gli occhi gonfi e i volti rigati dalle lacrime di Marcello De Rosa e di sua moglie Meri. Mi porto dentro la lezione che i veri paladini della legalità hanno dato a tutti. Quelle centinaia di persone che l’8 dicembre 2017 hanno sfidato la camorra con i fatti. Ricorderò sempre i loro volti. Anziani, donne, giovani e bambini che hanno avuto il coraggio di scegliere il campo della legalità. E che hanno chiesto con rabbia e speranza a De Rosa di tornare al suo posto perché il “popolo onesto di Casapesenna è con te”. Ecco, per il tempo di questo articolo voglio immaginarmi, sognare un mondo diverso. Non più capovolto. Semplicemente normale.

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