di Mario De Michele
Tutti si riempiono la bocca di Europa ma quando si tratta di analizzare il voto nessuno mette in rilievo il terremoto politico scatenato dall’avanzata della destra. Come sempre il dibattito in Italia è tutto ripiegato sulle dinamiche interne. Quelli di Fratelli d’Italia esultano per l’ottimo risultato che rappresenta “un altro lasciapassare all’operato della premier Giorgia Meloni e del suo governo”. In casa Pd si festeggia per l’eccellente risalita del partito che si rafforza come seconda forza politica italiana staccando di gran lunga i 5 Stelle: “Gli elettori hanno apprezzato le battaglie di Elly Schlein, ora bisogna proseguire in maniera unitaria per mettere assieme il centrosinistra”, dicono i democrat. Ma se il distacco tra FdI e Pd si accorcia, si allarga il divario tra dem e pentastellati. Un gap che potrebbe rendere più ostica la costruzione della casa progressista. Giuseppe Conte si lecca le ferite e annuncia “una riflessione sul voto”. Non è ancora chiaro a cosa porterà la riflessione: passerà la linea di un accordo organico con i dem (sì al centrosinistra a trazione Schlein) oppure si acuiranno le differenze tra i due partiti per scongiurare il rischio di vedersi risucchiati l’elettorato dal Pd? Tra le forze di governo esulta Forza Italia che, assieme a Noi Moderati, sfiora la doppia cifra. Anche qui c’è un’incognita da risolvere: la possibile svolta moderata dell’esecutivo sarà digerita dalla Lega? Spostando all’estrema destra il Carroccio, Matteo Salvini ha commesso l’ennesimo grave errore politico. Anche dalle urne delle Europee il leader leghista ne esce male: è sempre meno “Capitano” del partito. Ora, più che mai, è esposto ai malumori interni dei governisti. Sulla lunga portata, con la sua scelta “estremista”, ha consentito alla Meloni di rafforzare l’asse moderato del governo con gli azzurri di Antonio Tajani. Un assist anche in chiave europeista. Sul fronte opposto vola l’Allenza Verdi e Sinistra che viene premiata dagli elettori per aver proposto una ricetta politicamente chiara e connotata da temi specifici. Il grande sconfitto è il centro, impersonificato da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ancora una volta i personalismi tra i due hanno sancito l’ennesima frattura. Sono andati divisi alle elezioni e nessuno dei due schieramenti ha toccato la soglia di sbarramento al 4%. Zero seggi, nessuna prospettiva. Un altro capolavoro. L’altro grande “sconosciuto” nel dibattito politico italiota è il dato dell’astensionismo. Per la prima volta il numero dei non votanti soverchia quello delle persone che si sono recate alle urne. Nel Sud la percentuale degli astenuti, che è ampiamente sotto il 40%, avrebbe aperto in un Paese “normale” un’ampia discussione per indagare le ragioni della disaffezione verso il voto di oltre la metà degli elettori. Qui da noi l’argomento è stato trattato en passant e con le solite frasi di circostanza. Che sarà mai rispetto allo zero virgola in più del proprio partito o di quello avversario? Quello che lascia sconcertati è l’inadeguatezza dei politici nostrani nell’analisi del voto europeo. L’avanzata della destra è quasi un evento irrilevante anche per gli esponenti progressisti. Una sottovalutazione che fa cadere le braccia. Eppure, in Francia il voto si trasforma in un terremoto, con il presidente Macron, duramente sconfitto da Le Pen, che scioglie l’Assemblea nazionale e indice nuove elezioni politiche. Anche in Germania si registra la forte avanzata della Afd, una formazione di estrema destra che arriva a superare l’Spd del Cancelliere Scholz. Nessuno pone l’accento sul fatto che proprio quando ci sarebbe bisogno di un salto in avanti nel ruolo e nel peso politico dell’Europa, dotandola di una soggettività sovrana capace di spendere la sua storia nelle crisi che ci interpellano, la destra bloccherà il processo di costruzione europea. Come mai gli europeisti italiani non se ne preoccupano più di tanto? Perché guardano soltanto in casa propria. Proprio come gli esponenti di destra.