
di Mario De Michele
Se uno litiga con tutto il mondo dovrebbe porsi una domanda: “Forse sono io il problema?”. Nel caso di Stefano Graziano la risposta è “sì”. È lui il problema del Pd casertano. Il suo opportunismo politico elevato all’ennesima potenza ha fatto da tappo alla crescita della comunità dem in Terra di Lavoro. Nel corso degli ultimi 15 anni il deputato di Teverola ha brandito con profitto il motto “tutto per me, niente per gli altri”. Con una capacità più unica che rara di capitalizzare le tante sconfitte rimediate. Fatta eccezione per le regionali 2015, ha sempre perso nelle competizioni con le preferenze, incluse le parlamentarie del partito. Pur non vincendo quasi mai è al secondo mandato alla Camera e quando è stato “trombato” alle elezioni è puntualmente rientrato dalla finestra incassando redditizi contratti di collaborazione dal ministro Ortenzio Zecchino, dal premier Enrico Letta e infine da Vincenzo De Luca. Si dirà: “È competente, che male c’è?”. Sarà pur vero ma nel caso della consulenza alla Regione Campania la motivazione fornita in pubblico e davanti alle telecamere dal governatore uscente non ha nulla a che fare con le presunte doti di esperto di Graziano: “Mi ha fatto pena, ha detto De Luca, gli ho dato l’incarico per pietà”. Che in politica abbia ancora cittadinanza l’istituto della pietà è un aspetto positivo. Lascia molto più perplessi che i soldi dei cittadini vengano elargiti a una persona che “fa pena”.
Graziano è un perdente di successo anche nel Pd. Non vince un congresso da tempo immemore. Ma la sua “real politik”, alias pragmatismo sfrenato, gli ha sempre consentito di cadere in piedi. Da lettiano doc si è riconvertito in renziano improvvisato. E dopo l’appoggio a Stefano Bonaccini all’ultimo congresso dem, un attimo dopo la vittoria di Elly Schlein è salito sul carro della neo segretaria per il tramite dell’amico Francesco Boccia. Insomma, se è vero che Graziano non vince quasi mai, è altrettanto irrefragabile che vince pure quando perde. È un’arte anche questa. L’arte del trasformismo. Il meglio di sé lo ha dato a casa sua, nel Casertano. Qui è rimasto a galla seguendo l’insegnamento di Robespierre: ha via via ghigliottinato tutti i suoi rivali interni. Prima ha fatto fuori Nicola Caputo, poi Dario Abbate, poi Gennaro Olivero. Tutti dipinti come “brutti, sporchi e cattivi”, eliminati con l’appoggio della cerchia di amici romani del partito.
L’ultima vittima politica di Graziano è il giovane medico Massimo Schiavone, scaricato per traghettare nel parlamentino campano il suo figlioccio Marco Villano in un comodo mega yacht. Il deputato ha messo nel mirino l’ex presidente del consiglio comunale di Sessa Aurunca perché si è radicato sul territorio ed è ben visto in una larga fetta del Pd casertano. In buona sostanza perché Schiavone ha troppi voti e sarebbe partito, almeno sulla carta, in netto vantaggio rispetto a Villano. Un politico “normale” avrebbe accettato la sfida elettorale. Graziano invece ha risolto il problema a tavolino: Schiavone out dalla lista delle regionali. Un’epurazione degna delle purghe staliniane, frutto di un lavorio instancabile al Nazareno. Schiavone avrebbe la grave colpa di essere il figlio di una persona coinvolta in una delle inchieste sulla sanità casertana. È bastato l’avvio di un’indagine, senza neppure il rinvio a giudizio, per condannare padre e figlio, con un vergognoso capovolgimento del principio costituzionale di presunzione di innocenza. I figli che pagano le presunte colpe dei padri. Roba da Santa Inquisizione. Con la sua mefistofelica furbizia Graziano si è inserito, per completare l’opera demolitoria, nella disputa nazionale tra Elly Schlein e Pina Picierno, sponsor di Schiavone. E così la testa del giovane medico è inesorabilmente rotolata davanti agli occhi del boia.
Ma chi esce distrutto da questa vicenda è il partito democratico, tale soltanto di nome. Non si capisce, né tantomeno è stato spiegato, perché Schiavone sia stato fatto fuori mentre Marianna Funaro, consigliera comunale di Caserta “sciolta” per presunte infiltrazioni camorristiche assieme all’intera amministrazione, sia stata inserita nella lista. In verità lo si capisce, eccome. Funaro non può insidiare Villano. Non possiede il bagaglio di voti di Schiavone. Nessuna motivazione nemmeno sulla bocciatura della linea politica tracciata dal commissario provinciale Susanna Camusso, sintetizzabile nel “tutti dentro o tutti fuori”, avanzata per evitare discriminazioni di sorta, che puntualmente si sono verificate nel caso di Schiavone. Per la senatrice, come ha ribadito più volte, lo stallo del Pd di Caserta dipendeva da Gennaro Oliviero e da Stefano Graziano. Entrambi erano il problema. Oliviero è stato allontanato. Graziano continua a dettare legge. Uno dei due problemi resta. E continua a produrre danni al partito, sempre meno presente a livello locale.
Dal caso Schiavone emerge un altro aspetto, forse ancora più inquietante, sicuramente più indecente: il metodo “usa e getta”. Il giovane medico è stato candidato sotto il vessillo dem nella lista alle regionali del 2020 e appena un anno fa addirittura in quella delle europee. Fu proprio Graziano a favorire il suo ingresso nell’elenco dei nomi in corsa per il parlamentino campano per rintuzzare Oliviero a Sessa Aurunca. Alle europee è stato candidato da Antonio Misiani in persona, fino a poco fa commissario regionale dei democrat campani, per riempire la lista. Alle regionali ottenne quasi 7mila voti, alle europee più di 10mila. Nel 2024, anno delle europee, il padre di Schiavone era già sotto inchiesta e tuttora, è giusto ribadirlo, non è stato neppure rinviato a giudizio. Oggi, nel 2025, il figlio non serve più. Usato e gettato, come una “cosa posata in un angolo e dimenticata”, direbbe il poeta. Ma di poetico nel Pd non c’è proprio nulla. E non è uno scandalo. Scandalosa è l’assenza di coerenza politica. E di un minimo di correttezza personale. Eppure non serviva uno sforzo impegnativo. Sarebbe bastato restare umani.












