Enrico Costa è stato eletto presidente della Giunta per le autorizzazioni della Camera. Per lui hanno votato pure i deputati del M5S. L’esponente di Azione, garantista convinto, non rinnega di le sue battaglie per una giustizia giusta. “È un ruolo delicato, responsabilizzante, ma la Giunta per le autorizzazione è un organismo importante soprattutto per il suo rilievo costituzionale. Per questo avrò come faro proprio la Carta. Apprezzo molto la fiducia dei colleghi che mi hanno votato, perché in questo ruolo avere l’unanimità significa che c’è una fiducia sulla mia persona”. Conosce benissimo i meccanismi della Camera, e il gioco in commissione e in aula degli emendamenti e degli ordini del giorno. E proprio con un odg ha di fatto imposto la direttiva sulla presunzione di innocenza, visto che l’Europa l’aveva approvata ormai dal 2016 e all’Italia toccava recepirla. Quando Gian Domenico Caiazza le firme per la legge costituzionale sulla separazione delle carriere Costa ne diventa il paladino alla Camera, anche se non ce la fa a portarla al traguardo finale e il testo viene rinviato in commissione Affari costituzionali. La prima mossa da neo eletto, a ottobre, è proprio quella di riproporre la stessa legge. E in queste ore l’ennesima battaglia è sulle commissioni a cui, secondo lui, dev’essere assegnata. In passato la separazione era tema da Affari costituzionali e Giustizia, ma nella scorsa legislatura l’allora presidente della Camera Roberto Fico la mise in mano al fedele Giuseppe Brescia al vertice della Affari costituzionali. Nemico delle intercettazioni e dei trojan, protagonista delle battaglie contro le “ingiuste detenzioni” e l’obbligo dei risarcimento, Enrico Costa ha un feeling con il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Da ministro degli Affari regionali e delle autonomie Costa raccolse il “grido di dolore” dei sindaci che volevano liberarsi della spada di Damocle del reato di abuso d’ufficio, considerato una sorta di incubo dal quale reclamano da sempre la libertà. Per questo istituì una commissione che al vertice vedeva proprio Carlo Nordio e le cui conclusioni furono “tombali” per il destino del reato.
Mario De Michele