Il risultato di «Sinistra al lavoro per la Campania» non è di quelli che può essere rivendicato come il seme di un progetto per il futuro. In democrazia, piaccia o non piaccia, le elezioni rappresentano un principio di realtà di cui prendere atto e trarre e le dovute conseguenze. Cosa che sarebbe il caso facessero in tanti. La debacle, in ogni caso, non inficia il grande impegno e la straordinaria generosità di tanti, primo tra tutti Salvatore Vozza, che si sono battuti a viso aperto contro il binomio Caldoro-De Luca. Diversamente, trovo doveroso sottolineare la risibilità del tentativo (compiuto finanche da qualche importante rappresentante istituzionale) di gettare il peso della sconfitta sull’impostazione locale di una campagna elettorale giocata con pochi pezzi e una relativamente scarsa attenzione da parte dello stesso partito nazionale.
Il risultato elettorale ha ragione recenti e meno recenti. Tra le prime, tuttavia, non può certo esservi un qualche genere di rimpianto per il mancato accordo con Vincenzo De Luca. Il trasversalismo politico che lo sostiene (non a caso oggi il PD festeggia la vittoria insieme al senatore D’Anna), la grave lesione del principio di legalità che rende l’ex sindaco di Salerno non insediabile sullo scranno più alto della Giunta regionale, il conseguente stallo istituzionale, sono tutte questioni che testimoniano dell’inevitabilità della lacerazione.
Il problema vero siamo noi, quello che rappresentiamo e quello che non riusciamo più a intercettare. Nei fatti, siamo stati percepiti come marginali, inutili e autoreferenziali: le vestali di una sinistra preoccupata di testimoniare le proprie coerenze e di curare il proprio recinto, piuttosto che esprimere una capacità espansiva, ponendosi come il riferimento di un nuovo campo largo democratico in fieri. Non siamo stati capaci di fare come Pastorino in Liguria, costruendo un’ipotesi alternativa attraverso la partecipazione alla primarie, dialogando con il più ampio e complesso mondo del centrosinistra, facendo politica per scompaginare giochi e rendite di posizione, per condizionare gli esiti. Ci siamo invece autoconfinati, e fin dal principio, al di fuori del campo della coalizione più larga, perseguendo come un valore non la testimonianza di valori in una situazione di eccezionale gravità, ma la minorità politica come scelta programmatica di fondo. Coloro che vollero e spinsero per quella deriva pregiudiziale hanno nomi e cognomi. Alcuni di loro sono gli stessi che oggi alzano il polverone delle responsabilità, affinché nella confusione tutti siano uguali, tutti responsabili, tutti di conseguenza innocenti. Tranne, evidentemente, chi è stato costretto a metterci la faccia.
Il vero errore commesso da alcuni di noi è stato quello di non aver contrastato con la necessaria determinazione quella deriva neo-massimalista che dilagava al nostro interno fin dal Congresso nazionale di Riccione del 2014, con il suo scellerato corollario dell’abbandono del dialogo con le ragioni e i valori del socialismo europeo. Quella deriva, preoccupata più di recintare i propri confini che di abbattere quelli degli altri, è la vera ragione di fondo dell’esaurirsi di una prospettiva e del soffocamento di ogni spazio politico utile. Nelle recenti regionali il mondo della sinsitra ha deciso tre cose: astenersi, protestare con il voto populista e grillino, turarsi il naso e dare un’opportunità al partito democratico. Noi non siamo stati nemmeno presi in considerazione, e non soltanto in Campania. L’unico dato controtendenza è quello del rassemblement della sinistra marchigiana (che supera il 5%) — a meno di non voler considerare come un dato positivo il risultato pugliese del 6,5%, all’indomani di un decennio di straordinario buon governo.
A Caserta, la lista «Sinistra al lavoro per la Campania» raccoglie lo 2,02% e 7540 voti assoluti. Fermo restando il ringraziamento che va a tutte le forze e a tutti i candidati e le candidate che si sono spese in una difficile competizione, assolutamente controcorrente, mi sia consentito di sottolineare l’eccellente risultato di Igor Prata e di Marzo Zarone (i due esponenti di SEL presenti in lista) che, insieme, raccolgono metà di tutti consensi della lista. Prata, in particolare, è di gran lunga il candidato di «Sinistra al Lavoro» con il maggior numero di preferenze in Campania.
È un risultato che non mi consola, ma che ci potrebbe aiutare a comprendere alcune dinamiche che è stato possibile sollecitare e intercettare, sulle quali far leva per il futuro. Prata e Zarone sono personalità molto diverse, hanno riferimenti culturali differenti, appartengono a generazioni completamente estranee tra di loro. Tuttavia hanno alcuni interessanti tratti in comune: esperienza amministrativa; radicamento territoriale; una cultura politica riformista abituata a misurarsi con il possibile, con la responsabilità delle scelte, con il dialogo che porta a confrontarsi ben oltre il recinto delle appartenenze e di astratte coerenze elaborate a tavolino. Non credo sia un caso. Anzi, è il segno evidente di ciò che avrebbe potuto essere, e non è stato per il prevalere sul piano generale di altri caratteri e di altre tendenze.
Questo ci pone un problema di fondo sul destino di Sinistra Ecologia e Libertà. Il nostro partito-movimento ha dato in questi anni, pur tra alti e bassi, un suo contributo positivo. Quella stagione è terminata. È tempo che che una nuova storia prenda il via, che ciò avvenga lasciando spazio a una generazione capace di interpretare con maggiore lucidità e freschezza i processi in campo. Per quel che mi riguarda, ferma restando l’adesione a SEL finché essa esisterà, non credo ci siamo più le condizioni per prestare un contributo di direzione politica. Ho un giudizio troppo negativo sulle scelte compiute dal gruppo dirigente nazionale e condivise da una parte significativa di quello regionale per poter dare un apporto costruttivo e sereno. Senza contare che la mia formazione Novecentesca è diventata oramai un limite troppo pesante per sostenere i necessari processi di innovazione: Human Factor non l’ho capito a suo tempo, e continuo a non capirlo adesso; del Possibile civatiano penso tutto il male possibile (appunto); la coalizione sociale mi sembra l’ennesima, astratta e inconcludente terra di mezzo. È evidente che il limite è in me stesso, nella mia capacità di cogliere e rielaborare il nuovo.
Rassegno pertanto le mie dimissioni irrevocabili da coordinatore provinciale casertano, ringraziando tutti coloro con i quali ho avuto il piacere di lavorare in questi mesi e invitando i livelli di coordinamento regionale ad attivare le necessarie procedure per la sostituzione dell’organismo.
Gianni Cerchia