Il referendum costituzionale dello scorso dicembre ha visto prevalere, come è giusto che fosse, una maggioranza larga, variegata, assolutamente trasversale. Le costituzioni, infatti, sono sempre il tentativo di definire il campo dei valori condivisi da un’intera comunità. Non hanno nulla a che vedere con uno schieramento politico omogeneo, tanto meno con una pura e semplice maggioranza di governo.
Tuttavia, è pur vero una parte significativa dei settori progressisti ha sostenuto convintamente le ragioni del NO, risultando determinante per l’esito finale. Ci riferiamo ad alcuni milioni di elettori ed elettrici del PD e di SEL (e non solo), magari assai critici nei confronti del Partito democratico della sua leadership, o defluiti nell’astensione per mancanza di un’altra offerta politica giudicata credibile o praticabile. In altri termini, il referendum ha avuto anche un effetto rimotivante e ri-mobilitante che pensiamo sia giusto non disperdere. Nulla è scontato o semplice da perseguire, ma quel voto ha conferito alla politica la preziosa opportunità di provare a ricostruire un’alleanza delle forze democratiche, una coalizione plurale e rispettosa delle diversità che faccia da base — insieme a tanti altri che hanno votato per il SI — per la rinascita del centrosinistra.
Al contrario, riteniamo che siano a dir poco fuorivianti alcune interpretazioni — tipiche del renzismo e di una parte del gruppo dirigente di Sinistra Italiana — accomunate da un’aspirazione all’autosufficienza sbagliata nel metodo, devastante nel merito. Da questo punto di vista e nonostante le apparenze, il partito della nazione e la «sinistra del NO» si alimentano a vicenda. Sono le facce di una stessa medaglia che rischia, per arroganza e miopia, di consegnare il paese alle destre tradizionali o alla sua variante neo-populista.
Insomma, abbiamo necessità di rinnovare la sinistra dotandola di una coraggiosa e intelligente politica delle alleanze verso le forze di centro e dei cattolici democratici, coniugando insieme la preoccupazione per gli interessi generali e la capacità d’individuare equilibri, punti di mediazione, un riformismo dai contenuti radicali che si liberi dalle ambiguità e dalle subalternità del passato. Il mercato non è un nemico in sé, ma nemmeno un nuova religione laica alla quale sacrificare libertà, diritti, bisogni e aspirazioni. Un riformismo che non ne sia consapevole è condannato alla confusione, alla negazione della propria missione, al corto circuito tra attività istituzionale e capacità di lettura dei processi sociali.
Non è stato casuale, infatti, che siano stati soprattutto i giovani e il Sud a esprimersi in termini tanto negativi nei confronti della proposta di riforma costituzionale; laddove, cioè, si è registrata la massima divaricazione tra le semplificazioni dei leader e la complessa realtà delle cose, tra le opinioni di politica (e in particolare di una sinistra) quasi senza più radici popolari e le ferite aperte dalla crisi. Lo stesso voto di Terra di Lavoro, con le sue percentuali per il NO ben oltre il dato nazionale, lo mostra in maniera incontrovertibile.
Per tutte queste ragioni parteciperemo alla manifestazione romana del 28 gennaio, quando i comitati referendari di «Scelgo NO» (ispirati a suo tempo da Massimo D’Alema e da Guido Calvi) si scioglieranno per dar vita ai comitati per il rilancio del centrosinistra. Senza steccati, senza autosufficienze, senza rendite di posizione. Dopo l’appuntamento è nostra intenzione promuovere un coordinamento casertano con tutte le forze, singole o collettive, che fossero disponibili a praticare questo percorso unitario.
Non importa per cosa abbiano votato il 4 dicembre del 2016. Importa quello si è disponibili a fare qui e ora. Perché è adesso che si gioca la partita del paese e dell’Europa.
Dario Abbate e Gianni Cerchia
(per il coordinamento provinciale dei comitati «Scelgo No»)