Quando la cenere cova per troppo tempo sotto la cenere prima o poi divampa l’incendio. Ad alimentare fortissime folate di fuoco nel Pd della Campania sono state due vicende giudiziarie: quella che ha travolto Franco Alfieri, sospeso ad horas dal partito subito dopo l’arresto, e quella che vede protagonista Giovanni Zannini, accusato di corruzione e concussione. Il presidente della Provincia di Salerno e sindaco di Capaccio Paestum, sospeso dal prefetto anche dalle cariche istituzionali, era il braccio destro di Vincenzo De Luca. Il consigliere regionale, non iscritto ai democrat, è la propaggine del governatore nel Casertano. Due montanti al mento sferrati nel giovedì nero del 3 ottobre. Due colpi che sul piano politico fanno traballare il numero uno di Palazzo Santa Lucia, seppur totalmente estraneo ai fatti. Nelle ore successive ai due scandali sul ring sono saliti gli esponenti di spicco del Pd. Il primo a indossare i guantoni Antonio Misiani, commissario dei dem campani legatissimo a Elly Schlein. Il senatore chiude definitivamente le porta al terzo mandato. “La nostra posizione – ha dichiarato Misiani al Mattino – è nota. Abbiamo votato contro in Senato e rimaniamo contrari. Credo che tutti, a partire da De Luca, dobbiamo misurarci da una parte con il voto parlamentare a livello nazionale, e dall’altra con le criticità giuridiche e con le condizioni politiche, nel Pd e negli altri partiti del campo progressista, che rendono non percorribile un terzo mandato”. In nome del rinnovamento corsa finita anche per quei consiglieri regionali che di mandati ne hanno già fatti addirittura tre o quattro. È lo stesso sentiero tracciato anche dai componenti della segreteria nazionale, il deputato Marco Sarracino e l’europarlamentare Sandro Ruotolo, rispettivamente a Repubblica e al Corriere. Finisce la tregua con De Luca siglata nei mesi scorsi per condurre la battaglia comune sull’autonomia differenziata. I guai giudiziari di Alfieri e Zannini hanno riaperto le antiche ferite e spinto i massimi esponenti dell’area Schlein in Campania a ribadire che la posizione della segreteria sul terzo mandato non è cambiata e non cambierà. Non se ne parla, insomma. Agli affondi di Misiani, Saracino e Ruotolo risponde con altrettanta chiarezza un De Luca che pur avendo accusato i colpi non può permettersi il lusso di apparire debole per rintuzzare il rischio di un “tana libera tutti” dei suoi seguaci. “Non so più come dirlo – ha affermato al Mattino -, io vado avanti a prescindere, mi ricandido. Chi ci sta ci sta. Chi non ci sta non ci sta”. Frasi che hanno il sapore di una chiamata alle armi dei “suoi”, forse pronunciate proprio per fare la conta in casa sua. De Luca vorrebbe replicare in Campania il modello Zaia, governatore veneto che è già riuscito a ottenere il terzo mandato nonostante il limite imposto dalla legge nazionale. L’escamotage è quello di approvare una nuova legge regionale che recepisca il limite dei due mandati ex nunc, “annullando” i due mandati precedenti. La legge elettorale va votata in assemblea. E lì potrebbe esserci la conta dei deluchiani. Non sarà facile trovare i numeri. Alcuni consiglieri regionali dem si stanno smarcando dal governatore perché non vogliono contrapporsi alla Schlein e perché sono sempre più convinti che sostenendo De Luca andrebbero a sbattere, ponendosi di fatto fuori dal Pd. Più che stretta la strada del terzo mandato sembra orami sbarrata. Come confermano le parole del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi: “Penso che dobbiamo sempre lavorare per l’unità, salvaguardare la coalizione e fare in modo che ci sia un candidato unitario. I partiti devono lavorare in questa direzione. Mai fermare il dialogo, testardamente unitari come dice la Schlein”. Un modo elegante ma inequivocabile per dire che sul terzo mandato è calato il sipario. A prescindere da De Luca.

Mario De Michele

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