E’ per evitare un vuoto normativo, cioe’ la ”mancanza di una disciplina ‘operante’ costituzionalmente necessaria”, che lo scorso 12 gennaio la Corte costituzionale ha bocciato i due referendum abrogativi della legge elettorale. Una motivazione che non convince i referendari, delusi anche per l’assenza di un monito alle Camere sull’urgenza della riforma. E per stringere i tempi, oggi il Pd ha scritto ai presidenti di Camera e Senato chiedendo la convocazione al piu’ presto di una conferenza congiunta dei capigruppo che fissi la road map per le riforme.
Due quesiti – scrive la Consulta nelle 25 pagine di motivazioni, depositate oggi – il cui fine e’ ”lo stesso: l’abrogazione della legge 270 del 2005 (la cosiddetta ‘legge Calderoli’ – ndr), allo scopo di restituire efficacia alla legislazione elettorale in precedenza vigente, introdotta nel 1993”. Questo obiettivo comune e’ pero’ ”perseguito con tecniche diverse: il primo quesito propone l’abrogazione totale della legge n. 270; il secondo propone invece l’abrogazione delle piu’ significative disposizioni della medesima legge, cosi’ da configurare, sostanzialmente, un effetto abrogativo totale”. E’ per questo che i due quesiti devono essere giudicati inammissibili ”per le medesime ragioni”. E, cioe’, che se il referendum ”avesse un esito favorevole all’abrogazione, produrrebbe l’assenza di una legge costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza”. Il rischio – ”anche solo teorico e temporaneo”, ma che comunque deve essere scongiurato – e’ quello di una ”paralisi di funzionamento di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale”. Cio’ perche’ ”non puo’ affermarsi, come sostengono i soggetti presentatori, che, laddove l’esito del referendum fosse favorevole all’abrogazione, sarebbe automaticamente restituita in vigore la precedente legislazione elettorale”, che invece ”ha gia’ definitivamente esaurito i propri effetti”. Secondo la Consulta, infatti, ”la tesi della ‘reviviscenza’ di disposizioni a seguito di abrogazione referendaria non puo’ essere accolta”, e non solo in materia elettorale, perche’ altrimenti si avrebbe ”come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili”. La Corte Costituzionale smantella dunque le motivazioni dei referendari e rimanda la palla alle Camere. ”Una sentenza opininabile, che lascia nel nostro sistema un vuoto politico e etico”, dice amaro Arturo Parisi. Rispetta la decisione, pur evidenziando che ”oltre cento costituzionalisti la pensavano come noi”, il leader Idv Antonio Di Pietro, che non perde occasione per attaccare i partiti nei quali ”ognuno continua a proporre una leggina ‘pro domo sua”’. Per dimostrare la reale volonta’ di cambiare, dopo gli appelli del Colle, il Pd incalza Fini e Schifani chiedendo una conferenza dei capigruppo ”per individuare un percorso condiviso e certo per giungere a questo risultato”. Fretta, pero’, sospetta per Osvaldo Napoli del Pdl: ”Non e’ che – insinua – il Pd teme o spera le elezioni? Per noi la riforma elettorale e’ importante solo come tessera conclusiva di un mosaico di riforme istituzionali”.