Nessun apparentamento al ballottaggio alle comunali di Aversa. Ed è giusto così. Domenica 23 e lunedì 24 giugno sarà duello tra Franco Matacena (coalizione civica) e Antonio Farinaro (centrodestra). Dopo una settimana dal primo turno possiamo fare a mente fredda un’analisi del voto sui grandi sconfitti delle amministrative normanne: Mauro Baldascino e il centrosinistra. Per il candidato sindaco un flop memorabile nonostante l’arrivo in città del leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte e della segretaria Pd Elly Schlein. Ricordiamo, en passant, che ad Aversa dem e pentastellati assieme hanno incassato alle europee il 44% delle referenze. Baldascino invece si ferma al 21,68% dei voti. Meno della metà. Una Caporetto. Quali sono le ragioni di una sconfitta così cocente? E di chi sono le responsabilità politiche? Basta dare una veloce lettura ai numeri usciti dalle urne per affermare, senza meta di smentita, che Baldascino non ha tirato la carretta. Ha condotto una campagna elettorale “sine ira et studio” (Tacito). E non è riuscito per nulla a caratterizzare politicamente lo schieramento che lo sosteneva. Quelli che gli chiedevano di dire, sul filone morettiano, qualcosa di centrosinistra sono rimasti tiepidi. Agli altri, speranzosi che dicesse qualcosa di sinistra, sono cadute le braccia per l’assenza di idee e proposte forti. Baldascino è stato un fallimento. Ancora peggio ha fatto il raggruppamento a suo sostegno. Quelli che al tavolo delle trattative, Aversa Progressista e Centro democratico, si trasformavano nella bambina de “L’Esorcista” per Baldascino sindaco sono letteralmente scomparsi. Aversa Progressista ha dimostrato di avere più leader-promotori, Gabriele Vedova e Carmine Palmiero, che voti: 559, pari al 2.11%. Quattro gatti. A picco Centro democratico: 287 preferenze con l’1,09%. Due gatti. A prima vista i polli sono stati Eugenio Marino e Susanna Camusso, rispettivamente commissario cittadino e provinciale del Pd. Hanno scelto la strada della piena condivisione sul nome del candidato sindaco sposando il motto grillino “uno vale uno”. Dalle urne invece qualcuno è uscito con i numeri relativi, a dimostrazione del fatto che la politica non è aritmetica. Possibile che due esponenti di spessore come Marino e Camusso non lo sapessero? Smontando il sipario del Pd, dietro le quinte tutto appare molto più nitido. Il commissario cittadino e quello provinciale hanno seguito una strategia precisa. Da sempre il candidato sindaco “vero” era un altro. Tale Lello Ferrara, già sindaco di Aversa, avvocato della Cgil. Una scelta naturale per l’ex numero uno del primo sindacato italiano. Ma se la politica non è aritmetica i partiti non sono il sindacato. Primo errore di fondo. Poi l’effetto domino. Pur non buttandosi nella mischia elettorale l’istrionico Ferrara ha partecipato alla partita in atto nel Pd. Ed ecco che è spuntato il nome di Baldascino, tra i suoi fedelissimi ai tempi di Insieme per Aversa, appena appena 30 anni fa. Obiettivo? Distruggere la classe dirigente dei 40enni, a partire da Marco Villano per finire con Pasquale Fiorenzano, in mezzo tanti altri. Mentre Camusso era convinta che Baldascino fosse davvero il nome giusto e competitivo, Ferrara era ben consapevole della disfatta. Altrimenti la sua spiccata ipertrofia dell’io lo avrebbe spinto a scendere in campo in prima persona. Domandina facile facile: qual è l’apporto elettorale che l’ex primo cittadino ha fornito al centrosinistra? Lo dicono i numeri: molto vicino allo zero. Nella partita di Ferrara si è inserito con la sua ormai proverbiale lungimiranza Gennaro Oliviero. Al presidente del consiglio regionale non è parso vero vantare ancora un credito politico agli occhi di Marino e Camusso, che gli hanno chiesto di dare una grossa mano nella composizione della lista dem: “Indica 12 nomi”. I restanti 12 sono stati appannaggio degli amministratori uscenti. Come Ferrara, anche Oliviero era interessato all’esito delle comunali di Aversa come un turista giapponese. Il suo bersaglio era un altro: il deputato Stefano Graziano. Elementare, Watson! Non per Marino e Camusso. Il mix Ferrara-Oliviero ha prodotto più danni (al Pd) dell’arsenale nucleare di Stati Uniti, Russia, Iran e Israele messi assieme. Al primo turno i dem si assicurano un solo consigliere, Marco Girone, perché Oliviero, a parte Raffaele Di Lauro, fa “uscire” i suoi nomi in lista tra 0 e 50 preferenze. Mentre Paolo Cacciapuoti, candidato dall’olivieriano di ferro Palmiero con Aversa Progressista ottiene 249 preferenze. A conti fatti, il Pd perde il secondo seggio, che sarebbe stato assegnato a Elena Caterino, per colpa dei seguaci del presidente del consiglio regionale, che invece di portare acqua al mulino del Pd ne ha avvelenato i pozzi. Veniamo al dunque. Cosa ci guadagna Ferrara? Beh, ha Baldascino come riferimento istituzionale in assise per prepararsi la sua campagna alle regionali. Cosa ci guadagna Oliviero? Ha indebolito il gruppo Graziano. Cosa ci guadagna il Partito democratico di Aversa? Deve ripartire dalle macerie. Conclusione: nessuno di noi pensa che Marino e Camusso siano due polli, ma neppure delle volpi.
Mario De Michele