A Cesa il 25 Aprile 2025 sarà ricordato perché, almeno per una volta, Enzo Guida ha detto la verità. In risposta ad un nostro articolo pubblicato ieri sulle case-ufficio presenti in diversi parchi sorti da oltre 15 anni in periferia, il sindaco ha ammesso tramite un video Fb che i fantomatici cambi di destinazione d’uso, promessi dalla maggioranza, sono intrinsecamente legati al problema degli standard urbanistici (link in basso). È quello che andiamo dicendo e scrivendo da mesi. Nel video social la fascia tricolore attacca frontalmente gli amministratori locali dell’epoca, talmente sciagurati da far realizzare gli standard all’interno delle aree private. Il primo punto debole è politico. Chi governava quando sono stati concessi i permessi di costruire? Il centrosinistra. Chi sostiene oggi Guida? Il centrosinistra. Non solo. A quei tempi l’amministrazione era in mano prima al Pds, poi a Pds e Margherita, partiti che nel 2007 hanno dato vita al Pd. Oggi quale partito è centrale nella coalizione che appoggia Guida? Il Pd. Ergo, secondo il sindaco, il Pd avrebbe la responsabilità politico-amministrativa dell’obbrobrio delle case-ufficio. È bene tenerlo a mente.
Il secondo punto debole è personale. Pur non citandolo mai, Guida accusa capziosamente Giuseppe Fiorillo, sindaco all’epoca della concessione delle licenze edilizie. Ma la colpa del disastro urbanistico è dei costruttori, non dell’amministrazione del tempo. I signori del cemento hanno realizzato e venduto uffici come civili abitazioni, peraltro a prezzi altissimi. I proprietari sono vittime di una mega speculazione edilizia operata dai palazzinari. Come mai Guida non li chiama mai in causa? E ancora: quelle stesse lobby affaristiche sono o no grandi elettori dell’attuale sindaco? Certamente sì, anzi sono state determinanti per la sua elezione a primo cittadino e tuttora fanno parte del suo cerchio tragico. Una “cosa bella” sarebbe quella di far pagare agli imprenditori senza scrupoli il prezzo degli abusi nelle zone D perché, sia chiaro a tutti, un prezzo da pagare ci sarà.
Sul piano tecnico, gli standard non sono il primo problema da risolvere. La prima questione urbanistica sta a monte: le aree produttive (zone D) non possono in nessun modo essere paragonabili o equipollenti al centro storico (zona A), alle aree urbane consolidate (zone B) o alle aree residenziali di nuova espansione (zone C). A scanso di equivoci, ribadiamo un concetto lapalissiano: gli immobili in zona D sono senza dubbio utilizzati per civili abitazioni, non sono né uffici, né studi professionali. È assodato. Non si discute nemmeno sulla necessità di trovare soluzione per i residenti che hanno pagato cifre esorbitanti per comprare un’abitazione per edilizia domestica. Nessuno punta il dito contro quelle persone. Ma una domanda, che dovrebbero porsi in primis i proprietari degli immobili, nasce spontanea: i parchi in questione sono sorti da oltre 15 anni, Guida, che è sindaco da 10 anni, perché finora non ha messo mai mano al problema? Perché se ne occupa in campagna elettorale?
Torniamo all’aspetto edilizio e urbanistico. Come specificato nel vademecum del comune, c’è la possibilità di mutare la destinazione d’uso di un immobile o di una singola unità immobiliare. Quindi l’ufficio tecnico esamina le singole richieste, non si pronuncia sull’intero immobile, ad esempio su un palazzo composto da 25 appartamenti. Come verrà valutata la conformità alle norme edilizie del singolo appartamento? C’è dell’altro. È totalmente campato in aria sostenere che gli standard sono quelli del titolo abilitativo che ha autorizzato la costruzione. Per legge è necessaria la verifica rispetto alla nuova destinazione impressa all’immobile, quindi gli standard vanno riconteggiati e si devono stabilire le modalità per reperirli o per monetizzarli. Per i servizi primari e secondari vanno specificate la qualità e la quantità, cioè va esplicitato in che modo viene verificata l’esistenza e la sussistenza di tali servizi. Anche su questo aspetto il paradosso nel paradosso del vademecum è che richiama il D.M. 144419/68, che suddivide gli standard urbanistici in tre categorie, ma all’atto pratico non lo rispetta.
Non solo. Le zone D sono sottoposte a parametri volumetrici totalmente diversi rispetto a quelle residenziali. Nelle aree destinate ad attività produttive il parametro volumetrico riguarda l’altezza, la distanza dai confini e la superficie da occupare. Negli insediamenti di carattere commerciale e direzionale a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio per standard urbanistici, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi. Per quelle residenziali invece gli standard sono parametrati per numero di abitante. Ed a ogni abitante corrispondono 100 metri cubi di costruzione, ovvero 20 mq di standard. Insomma non ci può essere nessuna equipollenza perché sarebbe urbanisticamente e materialmente impossibile equiparare le zone D con quelle A, B e C.
Conclusione. Guida e company hanno optato per i cambi di destinazione d’uso per motivi propagandistici. La vera soluzione tecnica legittima è la variante al Puc. Strada non imboccata perché l’iter si sarebbe concluso dopo il voto del 2026. Se non è così, lo ripetiamo per la millesima volta, si proceda alla concessione dei permessi. Siamo curiosi di vedere come saranno conteggiati e monetizzati gli standard urbanistici e come saranno distribuiti i costi a carico dei proprietari degli immobili. Gli uffici comunali sono tenuti ad operare nel pieno rispetto delle leggi, sennò sono guai. Affidare il conteggio al ragionier Filini sarebbe una c…ta pazzesca.
Mario De Michele












