Pasquale Piccirillo si è guadagnato sul campo l’iscrizione di diritto al campionato mondiale di “Truffa allo Stato”. Ormai non si contano più i procedimenti e le inchieste penali a carico del dentista-imprenditore-editore-giornalista-ex detenuto casertano. Con sprezzo del pericolo e sfoggiando le sue doti migliori Piccirillo ha collezionato un altro “successo” giudiziario sempre in veste di presunto truffatore incallito. La Procura di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il sequestro di beni per due milioni di euro per truffa ai danni dello Stato per la gestione della società “Teleluna Due” (leggi l’articolo). Piccirillo dunque cala il tris. Il proprietario del gruppo editoriale Lunaset è implicato in altre due inchieste. La prima riguarda una presunta mega truffa per l’ottenimento, anche in quel caso, di fondi ministeriali attraverso la dichiarazione di investimenti fittizi. Piccirillo fu arrestato nel gennaio del 2010 per frode aggravata ai danni dello Stato come “ideatore – secondo i pm – dell’intera attività criminale”, messa in piedi per ottenere dal ministero per lo Sviluppo economico una somma di 782 mila euro, a fronte di investimenti fittizi per un valore di 3 milioni e 500 mila euro. La seconda indagine, che negli ultimi giorni ha subito un’accelerazione con una serie di interrogatori e acquisizione di atti, sta facendo luce sulla “Dossier società cooperativa giornalistica”, una delle aziende editoriali di fatto gestite da Piccirillo, che peraltro è anche titolare dello studio dentistico “Sdp” di Recale (unico convenzionato con la Regione Campania, chissà perché?). La “Dossier” è finita nel mirino della Polizia tributaria di Taranto. L’attività ispettiva, già scattata a Caserta, è proseguita in Puglia perché come d’incanto l’azienda ha spostato da alcuni anni la sede legale dalla città capoluogo a Grottaglie. L’accertamento delle forze dell’ordine tarantine riguarda i fondi pubblici percepiti dalla “Dossier”, erogati dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria in base alla legge sui finanziamenti alle testate giornalistiche. Nelle casse della società cooperativa, e quindi di chi la gestisce de facto, cioè il buon Piccirillo, sono transitati per anni milioni di euro. Gli inquirenti stanno indagando per verificare se la “Dossier” ha adempiuto gli obblighi connessi allo stanziamento di contributi pubblici. Sotto la lente degli investigatori è finito in particolare l’assetto societario. Dalla composizione dell’azienda al ruolo svolto dai soci. In questi anni la “Dossier” ha incassato fiumi di soldi pubblici per la sua natura giuridica di cooperativa giornalistica. E proprio su questo aspetto, che è la chiave di volta dell’inchiesta, la Tributaria sta facendo chiarezza. Gli inquirenti stanno accertando se i componenti della cooperativa abbiano effettivamente ricoperto il ruolo di soci con la partecipazione in concreto all’attività degli organi sociali (assemblee e amministrazione) nelle decisioni strategiche della società. In altre parole, gli investigatori vogliono appurare se si tratta di soci veri o solo sulla carta. Un sospetto più che fondato che ha avuto già i primi riscontri. Alcuni giornalisti indicati come soci sono stati ascoltati dagli investigatori e hanno confermato che non hanno mai partecipato concretamente all’attività amministrativa e societaria della “Dossier” (come invece prescrive la legge). L’azienda quindi sarebbe una finta società cooperativa costituita per intascare milioni di fondi pubblici. Per Piccirillo si profilerebbe un altro processo. Un risultato “prestigioso” che gli consentirebbe di recitare un ruolo da protagonista nel campionato mondiale di “Truffa allo Stato”. Avanti così. Fino alla fine.

 

Mario De Michele

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