Sembrava dovesse diventare uno dei tanti irrisolti delitti di camorra, ma dopo 25 anni, magistrati antimafia e carabinieri sono venuti a capo dell’omicidio di Vincenzo Feola, l’imprenditore ucciso dai sicari del clan dei Casalesi il 21 ottobre del 1992 all’interno della propria azienda di calcestruzzi di San Nicola la Strada, comune confinante con il capoluogo Caserta. Un ‘cold case’ per il quale oggi quattro persone sono state raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Napoli i boss, detenuti da anni, Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e Mezzanotte, e Francesco Schiavone noto come “Cicciariello”, cugino del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone; i due esponenti apicali del clan sono ritenuti i mandanti del delitto. In carcere sono poi finiti anche gli “specchettisti”, coloro che aiutarono i killer ad entrare in azione, ovvero Andrea Cusano di 60 anni, catturato a Cantù (Como), e Ettore De Angelis di 53 anni, arrestato a Santa Maria a Vico (Caserta). La Dda di Napoli (pm Annamaria Lucchetta) e i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno anche ricostruito l’identità dei sicari grazie alle dichiarazioni proprio di uno dei due killer, Nicola Panaro, oggi collaboratore di giustizia; questi ha indicato come altro esecutore materiale Michele Iovine, ucciso nel 2008 a Casagiove nel periodo in cui era il referente dei Casalesi nella città di Caserta. Più volte, negli anni, la Dda di Napoli aveva provato a risolvere il caso, salvo poi doversi sempre arrendere di fronte alla mancanza di elementi certi per poter incriminare mandanti ed esecutori. Due anni fa però Panaro, poco dopo essersi pentito, ha iniziato a raccontare del delitto, seguito poi da altri due ex esponenti di rilievo del clan capeggiato da Francesco Sandokan Schiavone, ovvero Cipriano D’Alessandro e Giuseppe Misso. L’omicidio, è emerso, fu ordinato perché Feola aveva deciso di uscire dal Cedic, il Consorzio formato dall’aziende di calcestruzzo e creato da Antonio Bardellino e Carmine Schiavone, quest’ultimo cugino di Sandokan e primo pentito dei Casalesi (morto qualche anno fa), che in provincia di Caserta aveva il monopolio della fornitura del materiale per l’edilizia e gestiva tutti gli appalti edili. Feola aveva capito che poteva guadagnare di più attraverso una normale concorrenza, ovvero abbassando i prezzi di vendita del calcestruzzo e soprattutto non voleva più pagare la tangente sui lavori di costruzione del Centro Orafo Tarì di Marcianise che stava effettuando in quel periodo; credeva inoltre di poter ottenere l’appoggio del clan operante proprio a Marcianise, i Belforte. Il Cedic teneva alti i prezzi di vendita del calcestuzzo, secondo le logiche dei cartelli produttivi, ma pagava poco le aziende consorziate, 2000 lire per ogni metro cubo di cemento distribuito. La decisione di Feola di uscire dal consorzio provocò dunque la reazione dei capi del clan dei Casalesi che diedero ordine di giustiziare l’imprenditore ribelle.