“Volevo solo spiegare il mio dramma che ovviamente è una conseguenza di ciò che ho fatto per questo Stato ingrato. Purtroppo non posso più aspettare:non possiamo mangiare,non abbiamo casa e non ho più la mia attività e tutto perché sono testimone di giustizia”.
E’ accorato l’appello di Luigi Coppola, ex imprenditore di Pompei, ex testimone di giustizia al presidente del Senato Pietro Grasso. “E visto che é vostra prassi commemorare i morti forse porre fine a questa ‘non vita’ e l’unica soluzione per essere preso in considerazione”. Coppola, 47 anni, moglie e due figlie di 18 e 15 anni, aveva un concessionario auto a Pompei (Napoli) e nel 2000 denunciò i suoi estorsori. “Da allora sono entrato in un tunnel io e la mia famiglia – precisa Coppola – il programma di protezione. Nel 2007 decisi di ritornare al mio paese e lo Stato mi diede 200mila euro per riavviare l’attività. Affittai una casa, riaprii l’autosalone ma nessuno veniva a comprare auto da me, le mie figlie erano isolate, additate come figlie di un ‘pentito’ e improvvisamente divenni un pericolo sociale”. Dopo qualche anno Coppola chiude l’autosalone, lascia la casa perché non riesce a pagare l’affitto: non ce l’ha fatta a ricostruirsi una vita. Oggi è solo un ex, ex imprenditore, ex testimone di giustizia. “Comincio a pensare che forse se pagavo il pizzo ero ancora un imprenditore – dice Coppola-. Invece oggi vivo in una casa prestatami da un amico (che devo lasciare l’11 giugno prossimo) e con il sostegno finanziario degli amici. Io chiedo allo Stato di aiutarmi a trovare un lavoro, non di mantenermi. Certo nella mia stessa situazione di difficoltà economica oggi c’é tanta gente, tante persone disperate che chiedono aiuto. Ma noi testimoni di giustizia è come se avessimo ‘il freno a mano tirato’, di noi nessuno vuole parlare come fossimo appestati.E allora darsi fuoco o mettersi una corda al collo forse non è la soluzione peggiore”.