Battere il proprio passato per avere un futuro, guardando contemporaneamente alla sfida (si spera) tra Spagna e Croazia. L’europeo di Cesare Prandelli e della nazionale italiana passa necessariamente per un doppio snodo: tra Poznan, dove il ct e gli azzurri ritrovano alla guida dell’Irlanda un loro vecchio maestro, Giovanni Trapattoni,
e Danzica, dove campioni del mondo e uomini di Bilic danno vita a una sfida assai chiacchierata ma fino a prova contraria vera. E’ la situazione nella quale si è infilata, con molte colpe, la nazionale italiana che pure non ha giocato sinora un brutto torneo, tutt’altro: ma le occasioni sprecate la portano a uno stato di cose obiettivamente sgradevole, il passaggio ai quarti non è automatico con una vittoria domani e dipende anche dal risultato di Danzica, che – tanto per cominciare – non deve essere un pari con 2 o più gol per parte. La necessità aguzza l’ingegno, così Prandelli gioca, in tutti i sensi, la carta della disperazione: stanco lui e stanchi i giocatori delle indolenze di Balotelli, con l’aiuto di un provvidenziale risentimento al ginocchio destro dell’attaccante, é stata presa la decisione di non schierarlo dall’inizio contro i verdi del Trap.
Anche se puntualizza nella conferenza stampa ufficiale della vigilia “Il ginocchio di Balo sta molto meglio”, infatti, Prandelli spiega poi di non avere mai detto che “Di Natale può reggere 30 o 40 minuti e basta”. E si lancia in una spiegazione tattica di come l’inserimento in avanti di Di Natale chiama a sostegno, per una questione di movimenti e di equilibrio tra reparti, quello di De Rossi a centrocampo. Con conseguente ritorno alla difesa a quattro e probabili innesti in massa (Barzagli, Abate, Balzaretti al posto di Bonucci, Maggio e Giaccherini): “una squadra come la nostra deve potere cambiare, durante una gara ma anche tra una partita e l’altra”. Numeri e moduli a parte, Prandelli insiste su un concetto: il ‘biscotto’ tra Spagna e Croazia è “impensabile”. “Dipende tutto da noi, e in realtà siamo concentrati solo per vincere la gara di domani. E’ inconcepibile che una squadra come la Spagna, che ha basato la sua immagine su gioco e spettacolo, possa programmare una gara: impossibile. Quanto a noi, ovviamente abbiamo i mezzi per vincere con l’Irlanda. Ma non sarà facile, perché loro non hanno più responsabilità in quanto eliminati, e nello stesso tempo hanno grande orgoglio nazionale.
Oltre a un gioco fatto di lanci lunghi e colpi di testa che qualche problema ce lo può creare”. A proposito di responsabilità, e se domani andasse male? “Ci prenderemmo le nostre, e cercheremmo il perché”. E, al di là della qualificazione che non dipende solo dall’Italia, quale è il discrimine tra europeo dignitoso e fallimento? “Pensiamo positivo, è una domanda prematura, andando troppo avanti si rischia di scivolare” risponde facendo le corna. Scongiuri a parte, però, statisticamente il digiuno in grandi manifestazioni è ormai lunghissimo: tra europei e mondiali gli azzurri non vincono una gara della fase finale dal 17 giugno 2008, 2-0 con la Francia. Da allora 6 partite senza successi: inevitabile pensare che se la striscia negativa si allungasse, le considerazioni sarebbero pesanti. Lui sorvola, parla di scaramanzia.
Piuttosto dedica un po’ di spazio alla mozione degli affetti (“qui non conta il modulo, ma il cuore e il sapere giocare regalando sorrisi, ci arriveremo prima o poi”) che lo porta inevitabilmente al discorso sul Trap. “Per me è e resterà sempre il mister, mi ha preso a 20 anni, mi ha portato a giocare, non molto per la verità, con i più grandi campioni e mi ha sempre rispettato. E’ un uomo e un tecnico che si è sempre rimesso in gioco, un esempio ed è emozionante per me trovarmelo di fronte”. Gli chiedono cosa farà il giorno dopo la fine dell’europeo, replica con ottimismo ostentato “vediamoci alla finale”.