Gli stipendi degli italiani non riescono piu’ a tenere il passo del caro vita. A ottobre la forbice tra il fiacco ritmo di crescita dei salari e la corsa dell’inflazione tocca un nuovo record, raggiungendo il divario maggiore da almeno quattordici anni, ovvero dal 1997. L’ultima rilevazione dell’Istat registra retribuzioni fredde: ferme su settembre e in rialzo dell’1,7% su base annua, lo stesso livello segnato gia’ nei tre mesi precedenti. Intanto, sempre a ottobre, i prezzi sono balzati al 3,4%, spinti dalla bolletta energetica e dall’incremento dell’aliquota Iva.
Ecco che l’aumento delle retribuzioni contrattuali risulta addirittura pari alla meta’ del tasso d’inflazione. Una distanza di 1,7 punti percentuali che aggiorna il picco toccato a settembre (1,3 punti) e che non sara’ facile da recuperare. E’, infatti, il risultato di un processo di impoverimento delle buste paga iniziato nel 2009 (quando i salari crescevano oltre il 4%) e di un trend di crescita dei prezzi che va avanti da oltre un anno, in sprint proprio nell’ultimo periodo. Il risultato e’ una netta perdita del potere d’acquisto dei lavoratori italiani, sopratutto degli statali. Sul pubblico impiego, infatti, grava per legge il blocco della contrattazione fino al 2014 e secondo la manovra di luglio potrebbe andare avanti anche per il triennio 2015-2017. Non viene precisato se il congelamento negli anni successivi sara’ totale o parziale, ma sicuramente l’attivita’ contrattuale non ripartira’ spedita.
Ad oggi, dal monitoraggio dell’Istituto di statistica, emerge come ci siano ancora 31 accordi contrattuali da rinnovare, per un totale di dipendenti pari a 4,3 milioni di persone, ovvero quasi un lavoratore su tre. Inoltre, l’attesa per l’aggiornamento degli accordi si fa piu’ lunga, sfiorando i due anni (22,4 mesi), un periodo doppio a confronto con lo scorso anno. E se a novembre l’attivita’ contrattuale rimarra’ ferma l’Istat stima un frenata degli stipendi di 0,2 punti (dall’1,7% al 1,5%). Non fanno ben sperare neppure gli altri indicatori diffusi oggi dall’Istat, con le grandi imprese italiane, motore dell’intera economia, che continuano a lanciare segnali di sofferenza. Nelle aziende con piu’ di 500 addetti le retribuzioni lorde per ora lavorata (che includono anche premi, straordinari, mensilita’ aggiuntive) a settembre cedono il 2,1%, trascinate in basso dal comparto dei servizi.
Non va meglio sul fronte occupazione, che sempre nelle imprese ‘big’ scende su base annua dello 0,6% (al lordo della cassa integrazione). Stime deludenti arrivano anche dal Centro Studi di Confindustria, che prevede per novembre una produzione ferma (-0,1% su ottobre). Uno stallo che inchioda l’Italia su livelli d’attivita’ molto lontani dal picco pre crisi (-19,1%). Preoccupati sono i commenti dei sindacati e dei consumatori. Per la Cgil i dati di oggi fotografano ”un sistema produttivo in gran parte bloccato”’. Sulla stessa linea la Cisl, che parla di una ”situazione di crisi produttiva e occupazionale che si mantiene su livelli allarmanti”. Salari fermi e prezzi in continua crescita le famiglie strozzano le famiglie a reddito fisso. Il calo del potere d’acquisto si traduce infatti per i nuclei famigliari a reddito fisso in un calo della propria capacita’ di spesa che va dai 300 ai 400 euro in base al reddito. Lo calcolano Federconsumatori e Adusbef sottolineando che questa perdita ”equivale a circa un mese di spesa alimentare di una famiglia (calcolata in base ai dati Istat)”.
”La crisi e le manovre economiche hanno colpito duramente le famiglie a reddito fisso, determinando ripercussioni gravissime sul loro potere di acquisto, del -3,8/-3,9% secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori”, osservano le due associazioni, aggiungendo che ”questa drammatica situazione emerge anche dai dati diffusi oggi dall’Istat” (il divario salari-prezzi e’ salito a ottobre all’1,7 punti percentuali). ”Una diminuzione di questa entita’ della capacita’ di spesa puo’ avere conseguenze gravissime per una famiglia”, aggiungono. L’Osservatorio di Federconsumatori ha calcolato le ricadute per una famiglia media (di 2,5 componenti) monoreddito: nel caso il reddito percepito sia di 1.500 euro al mese la diminuzione del potere di acquisto e’ pari a 312 euro l’anno; nel caso il reddito percepito sia di 2.000 euro al mese la diminuzione del potere di acquisto e’ invece pari a 408 euro l’anno.
”E’ come se, a causa della caduta verticale del potere di acquisto, ogni famiglia a reddito fisso avesse dovuto rinunciare complessivamente a un mese di spesa alimentare”, osservano i presidenti delle due associazioni, Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti. ”Una situazione allarmante, che avra’ gravi conseguenze non solo per le famiglie stesse, ma anche per l’intera economia – aggiungono – Si rendono quanto mai urgenti, quindi, misure tese a rilanciare la domanda di mercato e non a deprimerla, come fatto finora con aumento dell’Iva”.