“E’ grave che questa mattina non si siano costituiti parte civile il Comune di Napoli e la Regione Campania”. Lo ha detto Antonio Ceraldo, ex presidente dell’associazione dei familiari delle vittime e feriti della strage del rapido 904, e uno dei 267 feriti che quella sera era sul treno partito da Napoli e diretto a Milano. “Fino ad oggi – ha spiegato al termine della prima udienza del processo a Firenze che vede imputato Totò Riina – tutto quello che è stato fatto in Campania per ricordare, è stato fatto solo e grazie all’associazione”. Antonio aveva 31 anni la sera del 23 dicembre 1984. Era sul rapido 904 e stava raggiungendo la famiglia, emigrata da Afragola a Modena negli anni settanta. Era sotto la galleria San Benedetto Val di Sambro, quando all’improvviso ci fu l’esplosione: “Un boato e lo sferragliare del treno. Poi il silenzio – questo il primo ricordo di Antonio Ceraldo -. Poco a poco si sentivano i lamenti, i nomi, le persone che cercavano altre persone. I pianti. Io mi sono ritrovato intrappolato nel corridoio, non sentivo più il mio corpo, temevo di aver perso le gambe”. “Solo dopo diversi anni sono riuscito a prendere il treno. Ogni volta che passo sotto la galleria San Benedetto Val di Sambro è una sofferenza. Una ferita aperta, per cui dopo trent’anni spero ci possa essere la verità “. “Il processo di oggi può aggiungere giustizia, c’è molta rabbia – ha aggiunto Patrizia Rummo, moglie di una delle vittime, Abramo Vastanella – Quando ci fu la strage, io avevo 24 anni, mio marito 29. Avevamo tre figli, il più piccolo oggi ha 30 anni. Quel giorno sentii la notizia alla tv. Quando mi dissero che avrei dovuto riconoscere il corpo di mio marito mi imbottii di sedativi”.

 

 

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