di Riccardo D’Antonio
Sfogliando una nota rivista internazionale di economia, in cui si facevano raffronti tra il periodo attuale e gli anni ’30 del secolo scorso, mi sono reso conto che ci sono parecchie similitudini, ma anche, fortunatamente, parecchie differenze. Le similitudini in particolare si riferiscono alle misure di austerità implementate dai governi di mezzo mondo per risanare bilanci pubblici in allarmante deficit, certamente recessive, soprattutto per l’Italia data anche la mancanza di meccanismi alternativi per stimolare produzione e consumi, quali potrebbero essere la politica monetaria e/o il cambio.
80 anni fa c’era il gold standard (la convertibilità aurea), difeso fino allo strenuo da parecchi paesi, oggi, per l’Italia, c’è l’Euro (senza il quale peraltro saremmo in una situazione forse ancora più difficile) con i suoi meccanismi che impongono aggiustamenti deflattivi ai paesi “poco virtuosi”. 80 anni fa per cercare di risolvere la crisi del credito e i possibili fallimenti bancari europei (peraltro all’epoca comunque inesorabilmente verificatisi) si progettò, sotto la regia del governatore della Banca d’Inghilterra, un fondo magramente capitalizzato, che doveva fungere da prestatore di ultima istanza per le banche in difficoltà, oggi, si progetta un fondo “salva-stati” ugualmente magramente capitalizzato.
Allora come oggi ci sono diverse spinte protezionistiche che influenzano negativamente il commercio mondiale e le potenzialità di ripresa economica. Allora, purtroppo, emersero anche prepotenti spinte autoritarie, oggi per fortuna ancora di scarsa rilevanza, che facevano leva su istanze populistiche, queste invece sempre presenti. La vera differenza di cui dovremmo fare tesoro è che oggi anche grazie alla maggiore integrazione europea, ci sono i mezzi disponibili per evitare la catastrofe e qui abbandono il discorso generale per concentrarmi sull’Italia: rispetto ad allora, sono presenti una serie di “reti” di protezioni, per quanto scarse o depauperate, rappresentate dalle conquiste del welfare (pensioni, cassa integrazione, assistenza sanitaria , etc.) e la democrazia sembra molto più solida e matura.
La via da seguire al momento però resta purtroppo obbligata ed è quella delle riforme che consentano di uscire dalla crisi, non con una spirale deflattiva, ma con un balzo in avanti della crescita. Visto che abbiamo rinunciato ai mezzi della politica monetaria e all’arma del cambio, possiamo ancora ritornare alla ribalta con le qualità che ci hanno sempre contraddistinto: inventiva e originalità. Bisogna però preparare la strada ad una rinnovata spinta concorrenziale sul piano dei servizi e dell’accoglienza di aziende estere per poterci rilanciare.
Occorre, dunque, una decisione “gordiana” per quanto riguarda i privilegi delle diverse caste e sugli interessi precostituiti a mantenere l’odioso “status quo” della burocrazia: l’unico modo per venirne a capo, nell’intricata situazione politica italiana, è quello di decidere di abolire tutti i privilegi e farraginosità da un giorno all’altro senza nessuna esclusione (per preservare l’equità, di cui già non si fa però più cenno). Fatto questo si deve puntare decisamente ad attrarre nuove aziende in Italia, magari strappandole ai nostri vicini europei, con una riconquistata attrattività della nostra struttura-paese (tassazione inferiore, migliore clima, legislazioni più favorevoli, etc).
Si tratta sicuramente di un compito difficilissimo, al limite dell’impossibile, ma la speranza che ciò possa accadere è legata al fatto che non ci sono alternative possibili.