Nel 1962 Umberto Eco pubblica Opera aperta, analisi di testi letterari in termini strutturalisti a partire da Ulisse di Joyce, che fa discutere e diviene uno dei manifesti della neoavanguardia riunita l’anno dopo nel Gruppo ’63. Nel 1980 esce invece il romanzo storico medioevale Il nome della rosa, che suscita consensi internazionali,

best seller da 12 milioni di copie. Si svolge tra queste due tappe, meno lontane e diverse di quanto possa apparire, il lavoro di Umberto Eco, che festeggia il 5 gennaio i suoi 80 anni. Da osservatore ironico e semiologo avvertito oltre che creativo, infatti, ha dimostrato in ogni occasione di saper cogliere lo spirito del tempo. Il suo Lector in fabula, saggio del 1979 (non a caso periodo in cui stava scrivendo proprio Il nome della rosa), e’ appunto il lettore che in un testo, in particolare se creativo, letterario, arriva a far interagire col mondo e le intenzioni dell’autore, il proprio mondo di riferimenti, le proprie associazioni, che possono creare una lettura nuova: ”generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui”.

Un”opera aperta’ e’ proprio quella che piu’ riesce a produrre interpretazioni molteplici, adattandosi al mutare dei tempi e trovando agganci con scienze e discipline diverse. Una tesi che apparve dirompente in un paese legato alle sue tradizionali categorie estetiche, diviso tra crocianesimo e marxismo storicista. E il discorso di Eco non riguarda, ovviamente solo la forma, la struttura di un’opera, come intesero molti autori di quegli anni, tanto che poco dopo dette alle stampe La struttura assente, che spostava il discorso sulla ricerca semiologica e le sue interazioni.

Cosi’, forse, il tentativo piu’ esemplare nel mettere in pratica le sue teorie, e’ nel 2004 La misteriosa fiamma della regina Loana, romanzo illustrato con foto di libri e riviste, manifesti, tavole di fumetti, che fanno parte del racconto e contribuiscono a far rivivere l’atmosfera dell’epoca (da fine anni ’30 alla guerra) a ogni lettore anche con i propri ricordi. Insomma, anche un romanzo di un personaggio e studioso di questo tipo, attento alla cultura di massa e gia’ autore di paradossali e ironiche pagine su aspetti minori della realta’ raccolte in Diario minimo negli anni ’60, nasce entro questo spettro di riferimenti con una sapienza, non solo costruttiva e intellettuale.

E il successo internazionale, col Nome della rosa, di un saggista raffinato, di uno studioso che aveva debuttato laureandosi sui problemi estetici in San Tommaso, fini’ per suscitare piu’ polemiche delle sue innovative teorie saggistiche. Se in tanti parlano di ”libro geniale e assai notevole” come sintetizza Maria Corti, ecco che per Geno Pampaloni c’e’ ”difetto di genio letterario”, Francesco Alberoni lo definisce ”libro privo di emozioni” che deve la sua fortuna all’essere divenuto un feticcio di cultura, mentre Stefano Benni ha ”chiuso a pagina trenta, assalito dalla noia”. Poi verranno gli altri romanzi, altri best seller che ne consolidano la fama e stemperano le astiosita’: Il pendolo di Foucault nel 1988, L’isola del giorno prima 1994 e Baudolino 2001, La misteriosa fiamma della regina Loana 2004 e l’anno scorso Il cimitero di Praga.

Ancora una volta, attraverso la storia nel XIX secolo del tragico e graduale prosperare di quella falsificazione nota come I protocolli dei Savi di Sion, che ispirera’ anche Hitler, un romanzo di ampio intreccio, ricco di erudizione divulgata con eleganza e in quella misura che impegna il lettore comune, ma non troppo, introducendolo con sapienza narrativa in una coinvolgente realta’ di idee e storica. Insomma, ragioni per festeggiare con soddisfazione non solo di Eco, ma anche della nostra cultura e societa’, questi 80 anni ce ne sono molte, basta accettare che convivano in questo discreto e simpatico signore, che da amatore suona il flauto dolce e non teme certo di esporsi dichiarando le sue idee anche politiche, come ha fatto in questi anni berlusconiani, il curioso e ironico autore delle Bustine di minerva o di romanzi ambientati nel passato e lo studioso altamente scientifico del Trattato di semiotica generale, che conta ormai 25 anni.

Anche perche’, se c’era una volta la Fenomenologia di Mike Bongiorno, che tanto indigno’ e fece soffrire il presentatore tv, quando Umberto Eco la pubblico’ nel 1961 nel suo Diario minimo, oggi siamo alla Fenomenologia di Umberto Eco del semiologo Michele Cogo, proprio dedicata al suo percorso. Cogo definisce Eco un dilettante, nel senso letterale del termine: uno che agisce sempre per diletto, come con un senso di responsabilita’ verso il proprio diletto, capace di prendere in giro anche cio’ in cui piu’ crede.

Solo che il diletto, e’ contagioso, perche’ quando uno si diverte e’ piu’ facile riesca a coinvolgere anche chi lo ascolta, specie se usa riferimenti della cultura di massa, popolare, comuni a molti, come fa appunto Eco che mescola cultura alta e bassa, Dante e i fumetti, filosofia e canzonette, scrive la Storia delle Bellezza e quella della Bruttezza, senza timore di incrinare la propria superiorita’, anzi dando una maggiore prospettiva alla propria figura di intellettuale del suo tempo

 

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