Un commilitone e per di più ex coinquilino di una delle vittime: è lui l’unico indagato per il duplice omicidio di Pordenone, avvenuto il 17 marzo scorso fuori dal Palazzetto dello Sport. Per gli inquirenti, sarebbe G.R., di 26 anni, di origini campane, ad aver esploso i colpi mortali a bruciapelo che hanno ucciso Trifone Ragone (28) e la fidanzata Teresa Costanza (30), appena saliti in auto dopo aver terminato l’allenamento quotidiano di pesistica.
In questi mesi, l’uomo che ha abitato a lungo con Trifone in un condominio di via Colombo, a Pordenone, assieme ad altri militari originari del Sud Italia di stanza alla caserma di Cordenons è stato ripetutamente sentito dagli investigatori, ma ha sempre ripetuto la medesima versione, senza tuttavia fornire assieme un alibi convincente: al momento dell’omicidio collocato qualche minuto prima delle 20 si sarebbe trovato nella propria abitazione, da solo. Appartamento che è collocato in pieno centro cittadino, a una manciata di minuti dal luogo del delitto. Un tragitto facilmente percorribile, a piedi, senza dare nell’occhio, costeggiando l’intera zona degli istituti scolastici superiori e il famoso laghetto del parco di San Valentino, nel quale gli investigatori sono persuasi di aver trovato, esattamente una settimana fa, la chiave per risolvere il delitto: il caricatore di una pistola 7.65 compatibile con l’arma usata per il duplice omicidio. E sono proprio alcuni accertamenti, irripetibili, che il Ris di Parma deve effettuare sul campione rinvenuto, ad aver costretto la Procura della Repubblica ad accelerare nelle indagini, trasformando la posizione del militare da semplice sospettato a indagato. Non ci sono però ancora prove schiaccianti che consentano un provvedimento di custodia cautelare. “I riscontri che abbiamo sono buoni ha confermato uno degli investigatori : se fossero ottimi non staremmo parlando solo di un avviso di garanzia. Stiamo lavorando in particolare sul movente, che ancora non si riesce ad inquadrare”. Elementi probatori più certi ci sarebbero invece sulla presenza dell’indagato nella zona della cittadella sportiva di Pordenone, emersi grazie all’utilizzo delle tecnologie più avanzate che permettono di mappare spostamenti di persone e telefoni cellulari. Circa le generalità complete del militare indagato, dalla Procura si alza un muro di silenzio: “Nessuno intende sbattere il mostro in prima pagina hanno garantito gli inquirenti ed anzi avremmo preferito ultimare gli accertamenti senza questo clamore mediatico. Ci vuole la massima prudenza e bisogna agire nel totale rispetto delle tutele difensive, esattamente com’è stato fatto nel momento in cui si sono dovute disporre analisi non ripetibili che richiedevano un passaggio legale ulteriore e il coinvolgimento di difensori e periti di parte”. Quanto al movente, le ipotesi sono le più disparate e nessuna esclusa, complice anche il fatto che una delle vittime e il presunto assassino si conoscevano da tempo e si frequentavano abitualmente. La coabitazione si era conclusa quando Trifone andò a convivere con Teresa in un mini appartamento alla prima periferia della città. Dal delitto passionale allo screzio degenerato, da antichi rancori a questioni di denaro e prestiti magari non restituiti, fino ad una banale lite: per gli inquirenti ogni scenario è possibile, nonostante l’indagato abbia protestato l’assoluta estraneità ai fatti durante i numerosi interrogatori cui è stato sottoposto tanto nell’immediatezza del crimine quanto nel corso dei mesi e pure in queste ultime ore quando la sua posizione si è aggravata trasformandolo da uno dei sospettati nell’indiziato numero uno del delitto.