E’ bufera intorno alle reliquie, al culto e al tesoro del patrono di Napoli. La deputazione di San Gennaro, organismo laico che da secoli gestisce la cappella del santo e tutto il suo contenuto, annuncia ricorso contro un decreto del Viminale che – racconta oggi in un lungo reportage il quotidiano Il Mattino – potrebbe provocare la modifica dei criteri di nomina dell’organismo: ai discendenti delle famiglie nobili della città si affiancherebbero quattro membri di nomina della Curia, facendo così perdere alla deputazione il suo carattere secolare di laicità e di autonomia dalla diocesi. La deputazione si costituì nel 1601, quando i nobili della città diedero esecuzione ad un voto del popolo napoletano formulato nel 1527: erigere una cappella in onore del patrono per lo scampato pericolo nell’eruzione del Vesuvio. Da allora, malgrado numerosi tentativi degli arcivescovi di assumerne il controllo, ha sempre mantenuto la sua autonomia. E’ presieduta dal sindaco di Napoli, elemento che rafforza l’appartenenza alla città – e non alla diocesi – della cappella dove sono custodite le ampolle contenenti il sangue di san Gennaro, accanto ad opere d’arte di valore inestimabile ed a tutti i gioielli donati al patrono nel corso dei secoli. Il decreto del ministero degli Interni – spiega Riccardo Imperiali di Francavilla, delegato per gli affari legali della deputazione – “equipara la deputazione a una Fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli undici deputati in carica”. Le Fabbricerie sono enti che provvedono al mantenimento dei beni dei luoghi sacri, riconosciuti come persone giuridiche e vigilati dallo Stato, composti anche da rappresentanti ecclesiastici, ed è questo l’oggetto del contendere. La deputazione racconta di tensioni crescenti, negli ultimi anni, con il cardinale Crescenzio Sepe sulla gestione del culto di san Gennaro: il delegato agli affari legali riferisce a Il Mattino di numerosi tentativi fatti per rinnovare il vecchio statuto, risalente al 1894, assieme ai rappresentanti di Sepe. “Quando però si è arrivati alla stesura definitiva, il cardinale ha semplicemente preferito ignorare il documento perché non conteneva l’unica parte che davvero lo interessava, cioè la nomina dei ‘suoi’ rappresentanti”.