Nel corso della notte, nell’ambito di indagini coordinate da questa Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito dell’operazione definita “Dunasty”, la Compagnia della Guardia di Finanza di Marcianise ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 6 soggetti (4 in carcere e 2 ai domiciliari), gravemente indiziati di aver partecipato, a vario titolo, all’associazione per delinquere di tipo camorristico denominata “clan Belforte” (o “Mazzacane”), ponendo in essere, in modo continuativo, fatti di usura, estorsione, riciclaggio, abusivismo finanziario, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante dell’utilizzazione del metodo mafioso. Tra le sei persone arrestate dalle fiamme gialle nell’ambito di un’operazione anti usura nel Casertano denominata “Dynasty”, figura anche Roberto Trombetta, 52 anni, insegnante e padre di una ex consigliera comunale di Marcianise, la quale non risulta indagata ma che si è vista sequestrare beni che le sono stati donati dal padre e che secondo gli inquirenti sarebbero stati acquistati con i soldi provento dei vari reati, tra cui l’usura. Trombetta è fratello di Luigi, capoclan detenuto dei Belforte, che non si è mai pentito. In cella sono finiti il 43enne Eremigio Musone, figlio del boss di Capodrise Vittorio, la 45enne Maddalena Delli Paoli, moglie dell’altro esponente di spicco, in carcere ma mai pentito, Francesco Zarrillo, e il figlio della coppia Simmaco, 24 anni. Sono stati disposti i domiciliari per gli indagati Roberto Piccolella, cognato di Musone e dipendente dell’azienda Ecocar che svolge la raccolta dei rifiuti a Caserta, e per l’imprenditore di arredamenti Francesco Tammaro. Al centro dell’indagine le storiche attività illecite del clan, come l’usura, di cui sono rimasti vittime per decenni a Marcianise decine di imprenditori del posto, costretti sotto minaccia a rientrare dei prestiti ricevuti pagando interessi fino al 120%. Qualcuno è fallito, ma nessuno inizialmente ha denunciato gli strozzini; le ammissioni sono arrivate solo quando i finanzieri di Marcianise guidati dal capitato Davide Giangiorgi avevano raccolto importanti elementi di prova.(ANSA). In particolare, le investigazioni, in cui risultano complessivamente coinvolti 9 soggetti, hanno dato riscontro a diverse dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, portando alla luce l’esistenza di un’intensa attività usuraia perpetrata in modo sistematico e quotidiano attraverso continue richieste di denaro in danno delle numerose vittime. Le pressioni esercitate sulle persone offese, soggette a gravi e frequenti atti di intimidazione, le ponevano in una condizione di paura e totale soggezione. A causa del timore di subire gravi ritorsioni, gli imprenditori usurati, a fronte dei prestiti ricevuti, dovevano corrispondere interessi elevatissimi in una spirale perversa che li ha portati in una situazione di grave dissesto finanziario e sul ciglio del fallimento. Le vittime, seppur inizialmente reticenti perché costrette al silenzio, a seguito delle indagini svolte dalla Fiamme Gialle, poste di fronte ai fatti, hanno confessato di essere da decenni vittime degli appartenenti al clan camorristico. Sulla base dei dati raccolti, è stato quindi dettagliatamente ricostruito il “giro d’affari” della consorteria criminosa e, attraverso un puntuale esame della documentazione bancaria, sono stati determinati gli interessi usurai applicati, che, in alcuni casi, hanno superato la soglia del 120%. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli ricostruisce le vicissitudini criminali del clan “Belforte”, operante in Marcianise e nei paesi limitrofi. Le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, oggetto di plurimi provvedimenti giudiziari, sono conformi nel ritenere che i “Mazzacane” gestiscono le estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti locali, controllano il traffico di stupefacenti, si infiltrano nelle attività imprenditoriali, o costituiscono vere e proprie società con imprenditori compiacenti agevolati nella concessione di appalti, ovvero concedono prestiti agli imprenditori in difficoltà in cambio di interessi usurari (oltre al pagamento delle tangenti). Sulla base della comprovata appartenenza alla consorteria criminosa, il Tribunale partenopeo, oltre alle 6 custodie cautelari, ha disposto il sequestro preventivo nei confronti degli indagati, di appartenenti al loro nucleo familiare e di prestanome, di immobili, disponibilità finanziarie, quote societarie e beni mobili per un valore di circa 5.000.000 euro. Ai fini della confisca, sono stati quindi complessivamente sottoposti a vincolo cautelare 14 immobili (tra cui due villette con piscina), 7 autovetture di pregio, quote di partecipazione in 4 società di capitali e 13 rapporti bancari