All’udienza del 16 giugno 2016, la Corte d’Appello di Napoli – II Sezione Penale – composta dal Presidente dottoressa Mirra e dai Giudici a latere Carapella e Alfano ha riformato e annullato la sentenza di assoluzione di primo grado emessa dal Giudice Monocratico del Tribunale di S. Maria C. V. e, in accoglimento dell’ appello delle costituite parti civili, i sette fratelli della vittima Salvatore Montanino, rappresentati dallo stimato avv. Raffaele Costanzo, e dell’appello del Pm di S. Maria C. V. , Sost. Proc. Dott. Giacomo Urbano nonchè dell’appello del Sostituto Procuratore Generale della Corte di Appello di Napoli, Dott. Villari, ha condannato gli imputati Alfonso Di Martino, datore di lavoro “a nero” della vittima, e la signora Antonietta Cevaro, moglie del Di Martino, e proprietaria della villa di Castel Volturno dove avveniva l’incidente che causava il decesso del Montanino, alla pena di due anni di reclusione per il Di Martino e di 1 anno e 4 mesi di reclusione per la Cevaro, nonchè al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali, subordinando la concessione della pena sospesa al pagamento della provvisionale entro 30 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza. Dalla ricostruzione degli eventi operata in dibattimento è emerso che il povero Salvatore Montanino –di professione falegname, già dipendente “a nero” da anni del Di Martino e fisicamente menomato dalla mancanza di un dito- era stato incaricato dai coniugi Di Martino Alfonso e Cevaro Antonietta, entrambi di Aversa come anche la vittima e i suoi fratelli, di effettuare, come negli altri anni nel periodo che precede l’estate, lavori di manutenzione della villetta sita in Castel Volturno, Località Baia Verde, di proprietà degli imputati coniugi. In particolare al Montanino Salvatore era stata commissionata la sistemazione di cannucce di bambù “con volta a botte” su di una intelaiatura di ferro dell’altezza di 3,30 mt. ubicata nel vialetto interno della citata villa e, per effettuare tale lavoro, gli era stata fornita dagli imputati una scala a pioli in alluminio smontabile, composta da due rampe dell’altezza di circa 3 metri per ciascuna rampa; gli imputati non fornirono al povero Montanino Salvatore nessun dispositivo di protezione individuale. E’ ancora pacificamente emerso dall’istruttoria dibattimentale che il Montanino Salvatore si era recato presso la casa degli imputati in Baia Verde in compagnia di tale Mottola Annunziata che, amica della famiglia Di Martino, avrebbe dovuto pulire e riassettare l’interno della villetta. Accadde che la Mottola Annunziata, nel mentre si preparava a ritornare a casa, udiva un fortissimo rumore provenire dal patio e, recatasi sul posto, notava il Montanino Salvatore disteso a terra nei pressi della scala e chiedeva aiuto e poco dopo decedeva per un fortissimo trauma cranio-encefalico e per le fratture riportate.