Furono il boss dei Casalesi Michele Zagaria e il suo braccio destro Enrico Martinelli ad ordinare l’eliminazione di Antonio Bamundo, ucciso l’11 maggio del 2000 a San Marcellino. Ai due esponenti di spicco del clan è stata notificata questa mattina nelle carceri in cui sono detenuti al 41bis l’ordinanza di custodia cautelare per il delitto emessa dal gip del Tribunale di Napoli Dario Gallo; il provvedimento è stato notificato anche ad uno dei killer, Bruno Lanza, anch’egli già detenuto. Gli altri sicari non sono stati ancora identificati dagli inquirenti della Dda di Napoli e dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta che hanno eseguito le indagini. Bamundo fu giustiziato davanti al nipotino di 10 anni che, seduto nella vettura, fu l’unico a vedere i sicari arrivare a bordo di un’auto e fare fuoco più volte verso lo zio che era seduto a leggere il giornale davanti al gabbiotto del suo distributore di carburante. Il piccolo raccontò quei drammatici momenti agli inquirenti che però solo dopo anni, grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare di Antonio Iovine, ex boss e primula rossa dei Casalesi, e Massimiliano Caterino, ex fedelissimo di Zagaria, hanno ricostruito il movente, che è da ricercare nei contrasti tra Michele Zagaria e l’altro esponente di spicco del clan Vincenzo Zagaria (omonimo del primo), detenuto al momento del delitto; Bamundo era un prestanome e importante collaboratore di quest’ultimo. Dalle indagini è emerso che Michele Zagaria per giustificare il delitto rivelò che Bamundo era un informatore della Dia, circostanza che è effettivamente emersa.
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