Fu un omicidio di camorra, e non un delitto legato ad una lite tra nuclei familiari, quello di Francesco Correra, ferito a colpi di arma da fuoco nel piazzale della sua abitazione di Maddaloni  nel settembre dello scorso anno e successivamente deceduto in ospedale. Dell’assassinio sono ritenuti responsabili Antonio Zampella di 45 anni e il figlio 19enne Alessandro (assistiti dai legali Mario Mangazzo e Michele Di Fraia), che fino a questa mattina rispondevano di omicidio volontario con l’aggravante dei motivi abietti e futili; ma il pm di Santa Maria Capua Vetere Alessandro Di Vico, nell’aula del tribunale in cui si sta celebrando il rito abbreviato a carico di Zampella senior (il figlio sarà giudicato con rito ordinario davanti alla Corte d’Assise, ndr), ha depositato nuovi atti con la nuova contestazione di omicidio con l’aggravante mafiosa. In particolare il pm ha presentato le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Michele Lombardi, un tempo membro del clan attivo a Maddaloni, quello dei Farina-D’Albenzio, costola dei Belforte di Marcianise. Il pentito, sentito il 23 maggio scorso da Di Vico e dal pm della Dda di Napoli Luigi Landolfi, ha raccontato che l’omicidio sarebbe avvenuto perché Correra faceva parte di una fazione in rotta con i Belforte, indeboliti da arresti e pentimenti eccellenti come quello del fondatore Salvatore Belforte, e pretendeva una tangente di 300 euro a settimana dai due Zampella per la loro attività di spaccio di droga. Subito dopo il fatto gli inquirenti ipotizzarono che alla base del delitto vi fosse uno screzio, “lavato con il sangue”, tra i figli di Zampella e Correra.

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