dove dagli anni Ottanta un tappeto rosso, per lei, non era mai mancato. Così, sognando, Whitney si è addormentata per sempre 1. E’ il sito Tmz ad avanzare la prima ricostruzione dell’accaduto. La Houston sarebbe annegata dopo essersi assopita mentre faceva il bagno. Vittima di un sonno travolgente, causato probabilmente dallo Xanax, forte sedativo che, secondo alcune fonti, la cantante da tempo prendeva per combattere l’ansia e la depressione. Altre testimonianze riferiscono che Whitney, la sera prima di morire, aveva tirato tardi bevendo tantissimo. E lo Xanax, mescolato all’alcol, ha esattamente l’effetto di indurre il soggetto a perdere conoscenza. Whitney annegata per un mix letale, quindi, non uccisa da un’overdose. Ma solo nelle prossime ore l’autopsia fornirà il responso finale sulla fine della diva. Intanto, col passare delle ore, altre storie si intersecano agli ultimi istanti di Whitney. Ad esempio, quella di Bobbi Kristina, figlia 19enne nata dal difficile matrimonio tra la Houston e il cantante soul Bobby Brown. Avvisata della tragedia, la ragazza sarebbe arrivata qualche ora dopo all’Hilton, ma il cordone degli agenti le avrebbe impedito di vedere il corpo di sua madre. Questo, almeno, è quanto riporta ancora Tmz. A nulla è servito il suo pianto disperato. D’altronde, al riconoscimento ufficiale avevano già provveduto altri amici e parenti. Mentre Bobbi piange, in un salone dello stesso albergo Clive Davis dà inizio alla festa organizzata alla viglia dei Grammy. Leggendario produttore discografico, fondatore dell’Arista, l’uomo capace di rimettere in carreggiata Carlos Santana, Clive era stato il primo a intuire le potenzialità di Whitney nello showbusiness. E a credere in quella ragazza, al di là della parentela con Dionne Warwick e i legami con Aretha Franklin. Whitney era la sua creatura più luminosa. Una voce capace di registri altissimi come di sfumature impercettibili, svisate da brivido e note tenute all’infinito, senza una sbavatura. Tecnicamente perfetta. E bella, da morire. Morire. Le luci si abbassano, nessuno meglio di Clive Davis sa che lo show deve andare avanti. Il produttore impugna il microfono: “Abbiamo tutti il cuore devastato dal dolore. Il mio pensiero va alla figlia Bobbi Cristina e alla madre Cissy. Whitney era una persona splendida. E avrebbe voluto che la musica continuasse”. Tra gli invitati, un commosso Tony Bennett sembra non poterne più. “Prima Michael Jackson, poi Amy Winehouse. E ora Whitney Houston, la più grande cantante che io abbia mai ascoltato. Ora vorrei che tutti i presenti in questa sala sala spingessero il governo a legalizzare le droghe”. In tutt’altra America, un altro uomo impugna il microfono per salutare Whitney un’ultima volta. Bobby Brown si esibisce a Southaven, sobborgo di Memphis, Tennessee, incastonato nel vicino Mississippi. “Prima di tutto voglio dirvi che vi adoro tutti – premette Bobby a inizio concerto -. E poi, voglio anche dire: I love you, Whitney”. “La cosa più difficile per me è salire su questo palco”, spiega Brown, giustificando il mancato annullamento dello show con il rispetto per i fans che da 25 anni seguono i New Edition, il suo primo gruppo. Sul palco, Bobby appare scosso. Dopo una decina di brani, al momento di intonare una ballad, la sua voce è rotta dall’emozione. Bobby saluta con la mano e fugge, lasciando in scena i vecchi compagni. Il concerto termina di lì a poco. Il matrimonio tra Whitney e Bobby, un inferno durato 15 anni, con l’unica gioia della nascita di Bobbi Kristina, nel 1993, tra tante botte, maltrattamenti, tossicodipendenza, centri di riabilitazione e ricadute. Fino al divorzio, nel 2007. La fine di un matrimonio è il fallimento di un progetto. Può essere una liberazione, raramente una rinascita. Non lo è per Whitney. Perché “il diavolo più grande è in me: posso essere la migliore amica o il peggior nemico di me stessa” confessa a Diane Sawyer della Abc nel 2002, con Bobby Brown ancora al suo fianco. Whitney è preda delle depressione, esattamente come la sua più grande rivale, Mariah Carey, che nascose a lungo il suo male oscuro accecando pubblico e media con i riflettori. Whitney e Mariah, sempre sicure e sorridenti in scena e invece sfibrate da amori deludenti e dalle aspettative, dall’impossibilità di errore. Dal desiderio di stupire, che le spinge a stringersi mano nella mano nel 1998, per duettare in When You Believe. Quattordici anni dopo, Mariah piange la morte di Whitney e di una parte di se stessa. “Ho il cuore a pezzi – scrive su Twitter -. Sono in lacrime, scioccata dalla morte della mia amica, l’incomparabile Whitney Houston”. Whitney Houston se n’è andata immaginando il suo ritorno ai Grammy Awards, dove avrebbe raccolto l’applauso che si deve a una star capace di vendere 170 milioni di dischi nel mondo e di portarsi a casa sei statuette della Recording Academy. “Era una delle più grandi cantanti pop di tutti i tempi. Una luce si è spenta oggi nella nostra comunità e noi presentiamo le nostre sincere condoglianze alla famiglia, agli amici, ai fans e a quanti sono stati toccati dalla sua voce”. Queste le parole di Neil Portnoy, presidente della Recording Academy, a poche ore dalla cerimonia allo Staple Center di Los Angeles. Che Whitney sognava e dove tutti scatteranno in piedi, ancora una volta, per lei.