Il televisore con la cornice d’oro, il trono di don Pietro Savastano, la grande vasca con idromassaggio, e tutta una serie di arredi sfarzosi che facevano parte della villa presa in fitto dalla società di produzione Cattleya per girare la serie tv ‘Gomorra’ nel 2013. Un’abitazione talmente ben arredata da non richiedere ulteriori trucchi scenici per essere realistica.

Per quella villa – hanno stabilito i giudici del tribunale di Torre Annunziata – fu pagato il pizzo al clan Gallo, proprietario dell’immobile. Dopo la condanna a otto anni inflitta nel 2014 a carico del boss Francesco Gallo per estorsione aggravata, oggi il giudice monocratico di Torre Annunziata, Gabriella Ambrosino, ha condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento personale, con pena sospesa, il location manager Gennaro Aquino. Assolto invece il responsabile di produzione Gianluca Arcopinto. Fu Aquino – è stato accertato – a consegnare materialmente per conto della produzione la busta con 6.000 euro alla famiglia Gallo che minacciava di bloccare le riprese. A confessare come si sarebbero svolti i fatti, e a chiamare in causa i vertici della Cattleya, è stato ieri lo stesso Aquino in aula. Il location manager ha raccontato di avere ricevuto gran parte della cifra (5.000 euro) dai responsabili della società di produzione e di averla integrata con altri 1.000 euro prelevati dal proprio conto bancario con bancomat. Soldi che gli sarebbero stati restituiti in un secondo momento. Sulla scorta di queste dichiarazioni il giudice ha inviato i nuovi atti alla procura per valutare la posizione di altri referenti di Cattleya (Maurizio Tini, Riccardo Tozzi e Giovanni Stabilini) che nelle loro deposizioni avevano negato di essere a conoscenza della vicenda. Nel corso della sua requisitoria il pm, Maria Benincasa, ha sottolineato come i vertici della Cattleya abbiano provato a negare l’evidenza dei fatti contestati. L’inchiesta risale al 2014, e nacque sulla scorta di una serie di intercettazioni. La Cattleya aveva preso la villa in fitto nel marzo del 2013 per 30.000 euro, da versare in cinque rate da 6.000. Dopo il pagamento della prima rata, tuttavia, nell’aprile dello stesso anno il gip sequestrò l’edificio, nominando un amministratore giudiziario. E per i vertici della società di produzione, secondo la ricostruzione dei magistrati, si pose un problema: versare le somme a quest’ultimo, come impone la legge, o continuare a pagare i Gallo, come loro pretendevano? La sentenza di oggi dà una prima risposta al quesito, potrebbe non essere quella definitiva.

 

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