imE’ stato un imprenditore di riferimento del clan dei Casalesi, attivo nel settore del calcestruzzo, da sempre core business del clan casertano, sin da quando al timone della cosca c’era il fondatore Antonio Bardellino. Morto nel luglio scorso, Stefano Di Rauso, classe ’40, ha lasciato alla moglie e a figli un patrimonio di rilevante entità, fatto di terreni e immobili, rapporti finanziari, e un parco auto da fare invidia ad uno sceicco, che per magistrati e forze dell’ordine rappresentano beni accumulati negli anni con i proventi della collaborazione con i Casalesi, in particolare con la famiglia di Francesco Schiavone, noto come “Sandokan”.

Oggi però i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno posto i sigilli a beni per 25 milioni di euro, di cui gli eredi dell’imprenditore sono entrati in possesso da meno di un anno. I militari hanno eseguito la misura di prevenzione reale emessa dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Sotto sequestro sono finiti: due cave di calcestruzzo, tre autorimesse, due locali adibiti a deposito industriale, 37 veicoli, 4 polizze vita, un locale commerciale attualmente adibito ad istituto di credito e tre uffici. Di Rauso fu arrestato nel 2011 per associazione di tipo mafioso nell’ambito dell’indagine della Dda di Napoli cosiddetta “Il Principe e la Scheda Ballerina”, che portò all’arresto di oltre 40 persone per voto di scambio politico mafioso in relazione ad alcune tornate elettorali A Casal di Principe; tra gli arrestati anche Nicola Cosentino, coinvolto in relazione alla vicenda del Centro Commerciale “Il Principe”, voluto dai Casalesi ma mai realizzato. L’indagine è approdata, nell’aprile dello scorso anno, alla sentenza di primo grado; Di Rauso è stato condannato a nove anni, ed è deceduto qualche mese dopo; Cosentino, ex sottosegretario del Governo Berlusconi, è stato condannato invece a 5 anni.

 

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