Si riapre il caso del prete di Ponticelli accusato di pedofilia. Papa Francesco ha richiesto «ulteriori e immediati» accertamenti. Vuole vederci chiaro. Vuole capire se le indagini svolte durante questi anni dalla diocesi di Napoli e, in seguito, dalle autorità competenti vaticane, relative alle accuse di abusi ai danni di alcuni bambini, e terminate nel 2016 con un’archiviazione, siano state fatte o meno accuratamente. Vuol capire se la procedura investigativa sia stata adeguatamente rispettata in tutte le fasi previste. Vuole che sia illuminato ogni singolo aspetto ancora oscuro della complessa vicenda. Dopo il racconto inquietante di una presunta ulteriore vittima di abusi, recentemente affiorato dal silenzio dopo anni, Bergoglio ha sollecitato le strutture d’Oltretevere ad attivarsi in base alle nuove «evidenze», e ad approfondire il dossier, per verificare se il caso non sia stato chiuso un po’ troppo frettolosamente dalla diocesi napoletana. Il Papa vuole capire che cosa esattamente, a suo tempo, abbia indotto chi investigava ad interrompere le inchieste e disporre l’archiviazione. La vicenda avvenuta a Ponticelli, come è stato ampiamente documentato dall’inchiesta del Mattino, fu avviata a suo tempo dalla denuncia di un uomo ormai quarantenne, Diego Esposito, che accusava un prete napoletano, don Silverio Mura, di abusi sessuali da lui subìti a lungo durante la sua adolescenza. All’epoca dei fatti don Silverio era parroco della zona, e Diego un ragazzino di appena 13 anni. «Ero dominato dalla sua personalità, lusingato da questa amicizia. Quando succedeva ero impietrito. Diceva che il mio seme lo aiutava a stare meglio, a curarsi. Solo a 16 anni mi sono sottratto al suo dominio, all’epoca non ne parlai con nessuno per vergogna». Parecchio tempo dopo, nel 2010, Armando ormai adulto, marito e padre, iniziò ad essere colpito da gravi attacchi di panico che lo indussero a sottoporsi ad una psicoterapia. Fu allora che dalle ombre della sua memoria riemerse qualcosa di terribile che aveva rimosso per autotutela: gli abusi subìti un tempo, i traumi sepolti nel silenzio. Seguirono le denunce: una ai carabinieri (ma il reato dopo 10 anni senza una sentenza cadde in prescrizione), e l’altra alla diocesi napoletana, che avviò subito le procedure standard di verifica.