Le ramificazioni delle maggiori organizzazioni criminali si estendono in tutta Italia. Così anche a Roma si era formato un asse del crimine che legava la provincia di Caserta e la Capitale dove il clan Fragalà di Catania si era ritagliato il suo spazio con il placet dei Casalesi. E più precisamente la fazione guidata da Corrado De Luca. La Suprema Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di uno dei protagonisti della vicenda, Emiddio Coppola, 58enne di Trentola Ducenta, ritenuto l’emissario del boss De Luca presso i Fragalà, accusato del trasporto di armi e di traffico di sostanze stupefacenti. I giudici non hanno ritenuto viziato da alcun travisamento l’impianto probatorio, fondato su numerose intercettazioni telefoniche. Nello specifico, secondo quanto emerso dalle captazioni degli inquirenti, Coppola avrebbe svolto un ruolo attivo “nella gestione delle armi nella disponibilità del clan Fragalà” ed in particolare nella consegna di una pistola alla figlia del capoclan catanese. “Tale collegamento funzionale – scrivono i giudici – costituisce un elemento necessario e sufficiente a far ritenere sussistenti gli elementi costitutivi di cui al reato 416 bis, risultando l’attività criminosa connessa alla sfera di operatività del clan Fragalà, nel quale Coppola gravitava”. Stesso discorso per quanto riguarda le accuse di traffico di droga: l’hashish e la marijuana che arrivavano dalla Spagna. In tale contesto “Coppola risultava coinvolto” nelle “operazioni di approvvigionamento dello stupefacente trafficato dal clan Fragalà”. Alla luce di tutti questi elementi la Suprema Corte ha respinto il ricorso presentato dai legali di Coppola e confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

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