L’uomo che e’diventato mito in vita, ha alzato la Coppa piu’ bella, giocato a scopone con Pertini e mandato a quel paese Berlusconi quando Fini non ci pensava nemmeno, compie martedi’ 70 anni. Sebbene per i grandi numeri di Dino Zoff (642 partite in serie A, 112 in azzurro, a lungo recordman per presenze, prima di essere superato da Paolo Maldini e da Fabio Cannavaro) il traguardo sia non rilevantissimo sul piano quantitativo, l’Italia ha preso a celebrare l’evento con un mese di anticipo. Lui, come faceva sempre di fronte ai tiri, che fossero di Riva o di Socrates, non si e’ scomposto e ha parato la retorica aggrottando sopracciglia ormai grigie e rughe profonde. Poi ha buttato li’ un paio di quelle sue frasi tutt’altro che churchilliane: ”I miei 70 anni? Cinquanta di questi li ho vissuti di calcio, e il calcio mi ha fatto vivere bene”.
Chi e’ stato Zoff per il calcio? ”Uno che ha lavorato bene, con serieta’. Anche se e’ poco umile dirlo, sono stato abbastanza un buon esempio. Siccome me lo dicono tutti, ci credo”. La lunga storia d’amore tra Zoff e il pallone ha inizio negli anni ’50 nella Marianese, la squadra di Mariano del Friuli, dove e’ nato il 28 febbraio 1942, da una famiglia contadina. Erano gli anni in cui ”fare 10 chilometri in bici per giocare la partita era una festa”. Nel 1961 l’approdo in serie A, all’ Udinese. Il debutto, il 24 settembre, fu infausto: sconfitta a Firenze per 5-2. ”Andai al cinema qualche giorno dopo. Nell’intervallo c’era la settimana Incom, fecero vedere i gol di quella partita e io sprofondai sotto le poltroncine”. Ma Dino, friulano forte e saggio sin da giovane, non si perde d’animo. E da li’ comincia un ‘cursus honorum’ senza pari, una vita tra i pali che l’avrebbe riempito di gloria e di record. Dopo l’Udinese, dal 1963 al ’67 al Mantova, poi al Napoli fino al 1972. A 30 anni, il coronamento di un sogno: lui, juventino (”al paese erano quasi tutti juventini”), viene ingaggiato dalla Vecchia Signora. ”C’erano Causio, Haller, Bettega. La velocita’ insieme alla fantasia, la classe mescolata al dinamismo. Quella prima Juve mi e’ rimasta nel cuore”. E furono 11 anni incredibili, con sei scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa, una sequenza ininterrotta di presenze. Con, alla fine, la delusione piu’ grande: la sconfitta, nella finale di Coppa dei Campioni con l’Amburgo, il 25 maggio 1983 ad Atene. Quel tiro maledetto, da lontano, di Magath, che l’uomo che parava tutto non riesce a sventare. La fine di un sogno. Una settimana dopo, a 41 anni e tre mesi, Dino appende scarpini, e guanti, al chiodo. Ma, nel frattempo, quante soddisfazioni, e quanti primati, in Nazionale. Unico italiano ad aver vinto un Europeo (1968) e un Mondiale (1982), Zoff ha difeso per 15 anni, dal 1968 al 1983, la porta azzurra (nei primi tempi alternandosi con Albertosi). E al portiere che detiene il record di imbattibilita’, 1.142 minuti dal 20 settembre 1972 al 15 giugno 1974, la Nazionale ha regalato la gioia piu’ bella: la Coppa del mondo alzata (e con quel gesto fini’ in un francobollo disegnato da Guttuso) l’11 luglio 1982 a Madrid, dopo la finale vinta contro la Germania Ovest. Trofeo conquistato a 40 anni suonati, altro primato, acme e suggello di una carriera inimitabile. Festeggiato, dopo un bacio tenero in mondovisione al tecnico-padre Bearzot, al ritorno in albergo, con mezzo bicchiere di vino e una sigaretta assieme a Scirea, compagno di stanza, di Juve e in azzurro. Un tipo serio e riservato come lui. ”Gaetano era un uomo di grande stile e classe, sia in campo che fuori. Mi manca moltissimo”, confessa oggi un friulano che ha pudore dei propri sentimenti, oltre 20 anni dopo la tragica scomparsa dell’amico. Dopo il portiere – freddo, grande senso del piazzamento, impeccabile nelle uscite, non spettacolare – sono venuti l’allenatore e il dirigente (tra Juve, Lazio e Fiorentina), e un biennio da ct, con un lavoro ottimo e un titolo europeo perso al golden gol. Criticato da Berlusconi per la marcatura di Zidane (che per la verita’ non fece granche’) dopo quella finale persa contro la Francia, Zoff se ne ando’ sbattendo la porta. Ora l’uomo di poche, e sagge, parole, a cui piacerebbe ”un calcio piu’ semplice, che finisse dopo la partita, non virtuale”, si appresta a festeggiare un traguardo importante: non tanto e non solo per i numeri, ma per come li ha vissuti, questi 70 anni ”lavorando bene, con serieta”, da vero mito della porta accanto.