NAPOLI – C’e’ voluta un’inchiesta su un clan tra i piu’ radicati e potenti della Campania, il clan Fabbrocino, per aprire uno squarcio nel mondo ovattato delle commissioni tributarie. E comprendere che molti giudici tributari, oltre a essere anche consulenti di aziende piu’ o meno compromesse, scambiavano favori con i colleghi componenti delle commissioni: io aiuto il tuo cliente che fa ricorso contro gli accertamenti della Finanza, tu aiuti il mio. Un vero e proprio ”mercato delle sentenze”.
Un ”segnale grave”, ha commentato il ministro dell’interno Annamaria Cancellieri. Sono sedici i giudici tributari arrestati dalla Guardia di Finanza, di cui tredici ai domiciliari e tre in carcere; a loro si aggiungono altri dieci funzionari pubblici, sessanta in tutto gli indagati. Tra i giudici tributari arrestati c’e’ Anna Maria D’Ambrosio, considerata l’ideatrice del sistema do ut des. Consulente della famiglia Ragosta, la quale e’ ritenuta prestanome del temibile clan Fabbrocino, la D’Ambrosio, secondo il gip Alberto Capuano, ha tessuto una rete che attraverso uno scambio reciproco di favori, segnalazioni ed aggiustamenti di sentenze e di pilotaggio delle assegnazioni a giudici relatori compiacenti e disponibili a barattare l’esito dei ricorsi tributari in cambio di merce dello stesso tipo, sentenze spesso addirittura falsificate e scritte dallo stessa parte privata ricorrente, hanno per lungo tempo e con assoluta costanza turbato l’esercizio della giustizia tributaria. Il risultato e’ stato ”l’indecoroso spettacolo di un vero e proprio mercato delle sentenze”, come ha scritto il gip Alberto Capuano. Sono state eseguite complessivamente 22 ordinanze di custodia in carcere, 25 ai domiciliari e 13 divieti di dimora a Napoli. L’inchiesta – coordinata dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho e dai pm Francesco Curcio, Alessandro Milita e Ida Teresi – e’ incentrata soprattutto sull’attivita’ della holding Ragosta: una azienda partita dal nulla che nel corso degli anni ha esteso i suoi affari dalla siderurgia ad altri settori, come quello alberghiero-immobiliare, rilevando aziende come la Acciaierie Sud e il biscottificio Lazzaroni. Per gli inquirenti le fortune del gruppo hanno una sola spiegazione: riciclaggio di denaro di provenienza illegale. Gli investigatori ritengono infatti che i Ragosta reimpiegassero, attraverso versamenti in contanti su conti esteri, il denaro del clan Fabbrocino. Ordinanze di custodia in carcere sono state emesse, tra gli altri, nei confronti dell’imprenditore Fedele Ragosta e e di Franco Ambrosio, gia’ detenuto, ritenuto un esponente apicale della cosca. Un miliardo e’ il valore dei beni sequestrati dai finanzieri di Napoli, che hanno ricevuto il ”vivissimo compiacimento” del comandante generale della Guardia di Finanza, generale Nino Di Paolo. Sigilli a un importante albergo a Taormina, due hotel a Vietri sul Mare, nel salernitano, un palazzo a Roma. Le accuse vengono respinte con fermezza dai Ragosta. ”La procura non puo’ accusare il gruppo Ragosta di essersi arricchito con l’evasione tributaria e, contestualmente, di non riuscire a giustificare la provenienza della sua ricchezza”, ha detto l’avvocato Mario Papa, difensore dell’imprenditore Fedele Ragosta. Tra gli arrestati figura anche un noto professore universitario: l’avvocato Enrico Potito, docente di Diritto tributario alla Federico II. E’ accusato di aver scritto, per conto di privati, sentenze sui ricorsi che poi i giudici tributari firmavano. Dalle carte dell’inchiesta e’ anche emerso che uno dei giudici tributari, Corrado Rossi, aveva raccomandato il padre dello scrittore Roberto Saviano. ”La corruzione e’ un fenomeno piu’ diffuso di quanto si immagini”. E per fronteggiarla occorre ”mettere la giustizia in grado di funzionare” investendo in risorse e adeguando gli organici, in primo luogo quello del personale amministrativo, ha sottolineato Alessandro Pennasilico, procuratore reggente di Napoli.