CASAL DI PRINCIPE – Dopo la cattura di Giuseppe Setola, avvenuta il 14 gennaio 2009, Sandokan jr, al secolo Nicola Schiavone, 33 anni, forte dell’investitura del padre Francesco, cercò di conquistare la leadership dell’intero clan dei Casalesi in aperta sfida all’allora primula rossa Michele Zagaria, con cui, a detta di alcuni collaboratori di giustizia, i rapporti non erano buoni. E lo fece con un omicidio eccellente, commesso il 6 marzo dello stesso anno, quello di Antonio Salzillo, nipote di Antonio Bardellino, fondatore del clan casertano ucciso in Brasile nel 1988.
E’ questa l’accusa che si basa sulle indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta che questa mattina hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Napoli Francesca Ferri su richiesta dei pm della Dda Giovanni Conzo, Catello Maresca, Antonello Ardituro, Alessandro D’Alessio e Cesare Sirignano. In manette sono finiti, insieme al presunto mandante Nicola Schiavone, già detenuto dal 2010, altre sette esponenti della frangia da lui capeggiata tra esecutori materiali e complici del delitto avvenuto in via Santa Maria a Cubito, arteria che collega i Comuni di Cancello e Arnone e Villa Literno nel Casertano. Nell’occasione trovò la morte insieme a Salzillo anche Clemente Prisco, quarantacinquenne originario di Ottaviano, che sfortunatamente si trovava come passeggero nella Bmw del primo. Salzillo era tornato “dall’esilio” cui era stato mandato insieme ai suoi familiari dopo la sconfitta dei ‘bardelliniani’ da parte del gruppo guidato da Sandokan e Francesco Bidognetti tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90; una parte sostanziosa della famiglia del fondatore del clan vive a Formia (Latina). Suo fratello Paride, nel corso della faida, fu strangolato con una corda plastificata. Fino ad inizio 2009, Antonio Salzillo viveva invece a Gallarate (era sottoposto alla misura della sorveglianza speciale – ndr) dove commerciava in auto usate; a Cancello e Arnone, secondo il pentito Salvatore Caterino, tornò grazie all’autorizzazione di Michele Zagaria aprendo, anche qui, una rivendita di vetture. Sembra che l’ex latitante volesse servirsene proprio per uccidere Nicola Schiavone. Ma questi agì d’anticipo, approfittando anche di un episodio che gli diede la possibilità di vendicarsi di Salzillo. A raccontarlo è lo stesso Salvatore Caterino, che partecipò al duplice omicidio. “Salvatò, questa era una bella zona, poi chi l’ha rovinata é stata quella merda di Sandokan”: queste parole, a detta di Caterino, furono pronunciate in sua presenza e davanti anche ad altre persone da Antonio Salzillo. Caterino le riferì poi al nipote Massimo Russo, fedelissimo di Schiavone jr. L’omicidio di Salzillo fu organizzato in pochi giorni, per vendetta dunque ma anche per ristabilire il predominio sulle zone da sempre di competenza degli Schiavone, come Cancello e Arnone, e per mandare un messaggio a Zagaria. Ad agire a bordo di un’Audi Sw con targa clonata, hanno accertato gli inquirenti, furono i killer Massimo Russo, Pasquale Giovanni Vargas, entrambi allora latitanti, Crescenzo Laiso, ucciso nell’aprile del 2010, e Carmine Morelli che era alla guida. Ad avvertire della presenza di Salzillo furono gli “specchiettisti” Franco Bianco e Salvatore Caterino che viaggiavano a bordo di una Toyota Yaris. L’Audi dei killer, ha raccontato Caterino, dopo un breve inseguimento affiancò la Bmw; Massimo Russo, detto “Paperino”, sparò una prima raffica con un kalashnikov e Salzillo perse il controllo della vettura che finì in un canalone per la raccolta delle acque reflue posto lungo il ciglio della strada; a quel punto gli altri sicari scesero e finirono la missione. Dopo l’uccisione, i killer si recarono a Casal di Principe a casa di Franco Bianco che ricevette per l’ospitalità circa 1.500 euro; tutti furono poi ricompensati da Schiavone jr con 10mila euro e 50 grammi di coca a testa. Anche i coniugi Ernesto Errichiello (48 anni) e Teresa Massaro (47 anni) che fornirono appoggio logistico al commando in una masseria di loro proprietà, furono “pagati” ma con una Mercedes classe A. Dopo l’omicidio, ha raccontato Roberto Vargas, fratello di Pasquale nonché collaboratore di giustizia, Zagaria si arrabbiò molto perché non era stato avvisato e ne chiese conto ad Antonio Iovine; Iovine mediò incontrando la sera stessa autonomamente Nicola Schiavone. All’esito di questo dialogo fu deciso che era giunto il momento di unificare la cassa del clan e, quindi, che anche Zagaria avrebbe dovuto versare nella cassa unica il provento delle attività illecite controllate dai suoi affiliati. Fu una tregua che durò poco visto che nel maggio successivo furono ammazzati Giovanni Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Buonanno, in quanto visti proprio in compagnia di Salzillo. Una faida strisciante che non esplose mai veramente, in quanto Zagaria non rispose ma, a detta degli inquirenti, si limitò ad attendere che Schiavone cadesse; l’anno dopo il rampollo di Sandokan fu infatti arrestato mentre l’ex primula rossa proseguì la sua latitanza e i suoi affari fino al dicembre 2011. Intanto , oggi un altro figlio del boss, Francesco Schiavone, Emanuele Libero, di 21 anni, è stato arrestato questa sera dagli agenti della squadra mobile che gli hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di rapina ed estorsione aggravate dal metodo mafioso.