Sistema italiano a rischio squilibrio con l’età media della pensione a 64,2 anni. Più lavoratori rispetto al 2019, ma con un potere d’acquisto in calo. Fari puntati sugli abusi del reddito di cittadinanza (bloccate 266mila domande). E disparità fra le pensioni destinate agli uomini e quelle per le donne, con i primi che intascano il 35% in più e le altre che vedono erodersi l’assegno dopo la nascita di un figlio. Anzi: il 18% delle donne è a rischio uscita dal mercato del lavoro dopo la maternità. È l’istantanea scattata dall’Inps sullo stato di salute del sistema pensionistico in Italia, alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, accolto dal presidente dell’istituto, Gabriele Fava. Che presentando il XXIII rapporto annuale dice: “L’Inps è il vero hub del welfare italiano. Questo termine è quello che rappresenta al meglio il nostro ruolo strategico come piattaforma di collegamento tra diversi attori che, a vario titolo, operano a servizio dei cittadini”.
Rischio squilibrio
L’età media di accesso alla pensione in Italia, grazie alla possibilità di uscire in anticipo rispetto all’età di vecchiaia, è di 64,2 anni e questo, insieme alla generosità dei trattamenti rispetto all’ultima retribuzione, rischia di creare squilibri per il sistema previdenziale. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Inps. “Le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici – si legge – fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti, con rischi crescenti di squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata”. Nel 2023 i lavoratori iscritti all’Inps con almeno una settimana di contributi sono stati 26,6 milioni, oltre 1,08 milioni in più del 2019. Il dossier annuale dell’Inps segnala come la differenza rispetto all’Istat dipenda dal fatto che l’Istituto di statistica faccia un’indagine campionaria, mentre l’Inps dà un dato di flusso annuo. Le settimane lavorate in media nel 2023 per ogni assicurato sono state 43,1 a fronte delle 42,9 medie del 2019. Hanno trainato l’aumento i dipendenti privati a tempo indeterminato mentre si sono ridotti gli autonomi. Si registrano 540mila lavoratori in più nati in Paesi extra Ue. “Gli interventi sono di competenza del legislatore” dice il presidente dell’Inps rispondendo a una domanda sui rischi di squilibrio per i conti previdenziali a causa dell’età media effettiva di pensionamento di poco superiore ai 64 anni e ai livelli delle prestazioni, sottolineando che nel breve-medio periodo “la tenuta dei conti è assolutamente in equilibrio”. “Stiamo lavorando in piena sintonia con il governo, siamo totalmente allineati con il governo e i ministeri competenti. Sono molto fiducioso – aggiunge – Sono interventi non velocissimi, non facili, complessi. Serviranno per migliorare ancora di più le situazioni che affrontiamo”.
Il potere d’acquisto
Al notevole recupero occupazionale, sia in termini di unità che di intensità di lavoro, “non è corrisposto un incremento dei redditi e delle retribuzioni tale da compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto conseguente alla recrudescenza del fenomeno inflattivo”. Secondo l’Istituto si è registrato un aumento lordo dei salari del 6,8%, a fronte di un aumento dei prezzi attorno al 15-17%. L’aumento delle retribuzioni monetarie è del 10,4% netto tra il 2021 e il 2023 anche grazie agli interventi di decontribuzione. In media le retribuzioni (comprese quelle part-time e quelle dei contratti per solo una parte dell’anno) nel 2023 sono state pari a 25.789 euro lordi nell’anno. L’importo in media ha raggiunto i 39.176 euro per quelle full time e full year. A ottobre 2023, il 79% dei lavoratori, pari a circa 11,6 milioni di individui, ha beneficiato di questa riduzione contributiva. Questa percentuale aumenta all’84% per le donne e supera il 90% per i giovani sotto i 35 anni. L’importo medio mensile della decontribuzione, corrispondente ad un aumento della retribuzione imponibile lorda, è stato di circa 100 euro (123 euro se si considerano i rapporti a tempo pieno e attivi per l’intero mese). “L’effetto complessivo dell’esonero contributivo, del trattamento integrativo, delle modifiche alle aliquote e alle detrazioni – si legge – ha contribuito ad attutire in maniera importante l’impatto dell’inflazione. Se analizziamo la variazione della retribuzione netta corrispondente al salario medio lordo degli anni 2021 e 2023, l’incremento sale da circa il 6,9% per il lordo ad un più consistente 10,4% per il netto. Si tratta, in ogni caso, di un valore ancora distante dal recupero pieno dell’inflazione”.
La disparità di genere
Dopo la nascita del primo figlio le donne sperimentino una riduzione salariale, che è particolarmente significativa nell’anno di nascita e in quello successivo. Dopo quattro anni dalla maternità, annotano gli analisti dell’Inps, i redditi riprendono a crescere in maniera simile a quanto avviene per quelli percepiti dalle donne senza figli, tuttavia, anche 15 anni dopo la nascita del figlio si nota una penalità di circa 52 punti logaritmici. Nell’anno in cui diventano madri, annota l’Inps, le donne subiscono un calo dei redditi annui di circa il 76%, mentre per gli uomini si osserva un incremento salariale di circa il 6%. Le retribuzioni femminili ritornano al livello a cui si assestavano prima della maternità solo dopo 5 anni dalla nascita del figlio. Per gli uomini, invece la nascita di un figlio non interferisce con il trend crescente e a 7 anni dall’evento si osserva un incremento che sfiora il 50%. Se includiamo invece le “differenze accredito” e quindi la tutela pubblica, la caduta delle retribuzioni femminili si registra nell’anno successivo a quello di nascita e si assesta a -16%, il recupero è più rapido (il coefficiente diventa positivo a partire dal terzo anno in poi). Di più. Con la nascita di un figlio sale la probabilità di uscita dal lavoro per la donna e si riduce per l’uomo. Prima della nascita di un figlio la probabilità di uscita dal lavoro è simile per uomini e donne con l’8,5%-9% per i primi e il 10,5%-11% per le seconde, mentre nell’anno di nascita la percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. A sette anni dalla nascita del figlio la probabilità di uscita dal lavoro è del 5% per gli uomini e del 10% per le donne.
L’importo dell’assegno
Al 31 dicembre 2023 i pensionati erano circa 16,2 milioni, di cui 7,8 milioni di maschi e 8,4 milioni di femmine per un importo lordo complessivo delle pensioni erogate di 347 miliardi di euro. Inps chiarisce come il reddito medio da pensione per gli uomini sia superiore del 35% di quello delle donne. “Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), si legge, le donne percepivano il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro contro i 194 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini era superiore a quello delle donne di circa il 35%. Per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056,91 euro mentre per le donne è di 1.524,35 euro. “Sebbene rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), si legge, le donne percepivano il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 153 miliardi di euro contro i 194 miliardi dei maschi. L’importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini era superiore a quello delle donne di circa il 35%. Per gli uomini il reddito da pensione è in media di 2.056,91 euro mentre per le donne è di 1.524,35 euro.
I giovani
I giovani lavorano meno e guadagnano di meno. È in sintesi quanto emerge dal Rapporto dell’Inps. A fronte di una retribuzione media annua di fatto pari nel 2023 a quasi 26 mila euro per i lavoratori dipendenti (pubblici e privati, esclusi lavoratori domestici e operai agricoli), gli under 30 guadagnano poco più di 14 mila euro, quindi poco di più della metà; inoltre, in tale fascia d’età, i dipendenti pubblici guadagnano circa 6-7 mila euro di più dei loro coetanei del settore privato. L’Inps spiega che in termini assoluti la distanza tra la retribuzione di un giovane under 30 e il valore medio totale è massima per un lavoratore a tempo pieno con continuità occupazionale nell’anno (gap di 11 mila euro), minima per un lavoratore a tempo parziale e discontinuo nell’anno (gap di 1.800 euro); in termini relativi, invece, è massima tra i lavoratori full time e minima tra i lavoratori part time, indipendentemente dalle caratteristiche di continuità/discontinuità nell’anno. In sintesi, “i giovani lavorano di meno e guadagnano di meno (anche in termini di retribuzione giornaliera e – per stima – anche di retribuzione oraria). Ma nell’ultimo periodo (quinquennio) le loro posizioni relative non si sono affatto deteriorate, anzi: variazioni maggiori rispetto alle altre classi di età si registrano sia sul numero assoluto, sia sulle retribuzioni”. Ad esempio, spiega l’Inps, tra i full time fino a 29 anni la variazione della retribuzione media annua (effettiva) tra il 2019 e il 2023 è pari a +8,4% rispetto al valore di +6,6% per tutte le età.
Il Reddito
L’Inps ha intercettato nel 2023 oltre 266mila domande di Reddito di cittadinanza a rischio frode con il risparmio di 1,05 miliardi. L’istituto ha presentano il Sistema di Business Intelligence per la legalità e la lotta agli abusi (Sibilla) che “permette di intercettare, tramite scenari di rischio, comportamenti fraudolenti già posti in essere o anche solo potenziali attraverso l’analisi e l’elaborazione statistica dei dati.” Sibilla applicato al Reddito di cittadinanza nel 2023, spiega l’Inps, ha intercettato 266.105 domande per un importo medio di 562,78 euro per 7 mensilità per un totale di risparmio che supera il miliardo.