Salta l’intesa ‘Abc’ sulle riforme. In Aula a Palazzo Madama passa a maggioranza semplice e con il solo scarto di 12 voti (153 sì, 136 no e 5 astenuti che valgono come voti contrari) l’emendamento della Lega che introduce nella Costituzione il Senato Federale.

Si tratta del primo tassello dell’accordo Pdl-Lega che prevede che il Carroccio a questo punto appoggi il semi-presidenzialismo voluto dal partito di Berlusconi. La verità è che, però, a questo punto il cammino delle riforme, compreso il taglio del numero dei parlamentari, sembra complicatissimo, se non decisamente compromesso visto che in caso di approvazione del testo con meno dei due terzi della maggioranza sarebbe sottoposto a referendum confermativo come accadde per il testo Calderoli nel 2006. E anche una eventuale trattativa sulla legge elettorale ora sembra più difficile. “Questa sera c’é il certificato di morte” delle riforme dice non nascondendo il proprio rammarico il relatore del provvedimento, Carlo Vizzini, che un minuto dopo l’approvazione del Senato targato Lega prende la parola in Aula per rimettere il proprio mandato. “Vogliono far saltare il banco” dice il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “Vi assumete la responsabilità di farle fallire”, attacca il capogruppo Udc in Senato Giampiero D’Alia. “Con il sì al Senato federale le riforme muoiono” tuona in Aula la senatrice Anna Finocchiaro che va all’attacco del presidente del Senato Renato Schifani “complice del baratto tra Pdl e Lega”. E contro Schifani si schiera anche il suo predecessore Marcello Pera, unico del Pdl a votare contro il testo del Carroccio, e che accusa Schifani di una conduzione “politicamente orientata” della seduta d’Aula. Nessuno stop alle riforme è la replica del Pdl che invita, anzi, il centrosinistra a valutare la proposta del semipresidenzialismo. “Noi – sottolinea il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri – avevamo detto che comunque fossero andate le votazioni sugli emendamenti saremmo andati avanti sulle riforme. Invece il Pd oggi si prende il pallone, se lo mette sotto il braccio e se ne va”. Gasparri invita il Pd a un confronto sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. Proposta che però verrà trattata solo la prossima settimana in commissione. La Affari Costituzionali tornerà sul tema non prima di martedì quando si dovrà riunire per nominare il nuovo relatore (e il Pdl propone già il proprio capogruppo Gabriele Boscetto) e affrontare il semipresidenzialismo. E anche in Aula se ne tornerà a parlare la prossima settimana. Canta vittoria la Lega che con Roberto Calderoli, primo firmatario dell’emendamento approvato, che chiede alle “forze responsabili che ci sono in Parlamento” anche uno sforzo “perché in terza e in quarta lettura si raggiunga quella maggioranza qualificata dei due terzi che consentirà di ridurre il numero dei parlamentari, di avere il Senato Federale e, perché no, di far eleggere direttamente da parte del popolo il presidente della Repubblica già dalla primavera prossima”. Il testo approvato oggi in Senato, ma che deve ancora passare per altre tre letture, prevede che il Senato federale sia composto di 250 senatori, ai quali vanno aggiunti 21 senatori ‘regionali’ (dei “partecipanti”, come li ha definiti ironicamente la Finocchiaro) che vengono eletti dai consigli regionali e partecipano ai lavori con diritto di voto sulle materie concorrenti. Nel testo è specificato che “non sono membri del Parlamento” e dunque non hanno le loro prerogative compresa la diaria, anche se mantengono l’insindacabilità. Nel testo non sono previsti i senatori eletti all’estero e nemmeno quelli a vita.

 

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