NAPOLI – Aveva 46 anni, era in servizio a Napoli Poggioreale e da tempo era in malattia per manie di persecuzione e stress da lavoro. Domenica scorsa A.L., assistente della Polizia Penitenziaria, è morto dopo aver ingerito un micidiale mix di farmaci: era sparito dalla sua abitazione il giorno precedente.
Era in stato di malattia dal 10 marzo 2012. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Piangiamo oggi un altro collega morto suicida: una vita spezzata a 46 anni che ci lascia sgomenti. Quel che ci lascia perplessi è che l’Amministrazione Penitenziaria pensa di avere messo sul piatto soluzioni concrete al dramma del disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari, ma non è affatto così. Ad avviso del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, l’incontro che si era tenuto a Roma lo scorso 31 luglio scorso su questo drammatico tema è stato deludente ed inconcludente”. Così lo stesso Capece in una nota. “Il collega era scomparso da casa ed è stato trovato domenica nei pressi del cimitero di Alife. I casi di suicidi tra i baschi azzurri dovrebbero fare seriamente riflettere ed invece confermano come sono distanti i vertici del DAP dalla realtà delle carceri italiane. L’approccio al delicato e drammatico tema, la morte per suicidio di 7 poliziotti penitenziari negli ultimi 7 mesi (più di 100 i casi dall’anno 2000), non ha visto mettere in campo a nostro avviso efficaci azioni per contrastare il disagio lavorativo del personale di Polizia penitenziaria e contestualmente stimolarne la professionalità. Le uniche soluzioni proposte dal DAP Giovanni Tamburino sono state la realizzazione di una brochure da diffondere tra il Personale e la previsione di un numero verde di ascolto, da contattarsi in caso di necessità. Questo, secondo il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, significa non affrontare il problema alla radice. Mancano concrete iniziative per garantire e favorire il benessere dei Baschi Azzurri. Le soluzioni proposte dal DAP servono solamente all’Amministrazione Penitenziaria per ‘scaricarsi la coscienza’ su un tema tanto drammatico e delicato che avrebbe avuto necessità di ben altra sensibilità umana ed istituzionale”, conclude Capece.